Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
I gabbiani hanno lasciato qualche impronta sulla sabbia
umida, poi sono volati via, a rincorrere sbuffi di nuvole e vento. Il cielo è
un’esplosione di colori: arancione, blu, azzurro, rosa pallido. È l’ora più
bella, quella che racconta le storie della buonanotte.
Sono a Pescara per il premio letterario “Essere Oltre –L’Essenza della Vita tra Emozioni e Riflessioni”, dedicato alla memoria dell’avvocato
Valentino Brunetti. E sono difronte al mare, a dirmi quanto sia semplice la
bellezza. Nello zaino, carta e penna; accanto a me, la mia famiglia; sulla mia
testa, il cielo d’Abruzzo. Cose, persone, paesaggi a cui non rinuncerei per
nulla al mondo. Mentre ancora tutti dormono, con l’odore del caffè bollente che
invade la camera del bed and breakfast e il sapore della nutella sulla mia
fetta biscottata, torno a scrivere di viaggi e di emozioni. Mi è mancata, la scrittura, in questi anni. Le passioni,
prima o poi, ricominciano a bussare alla porta per chiederti il conto.
“Ama il tuo sogno, seppur ti tormenta”. Gabriele D’Annunzio,
a Pescara, continua a vivere, e non solo nella sua casa natale. Non è un caso se,
visitando la sua abitazione, su corso Manthoné, quella frase mi ricapita sotto
gli occhi. Peso ogni passo tra manoscritti e fotografie, scrittoio e letto dove
il Vate dormiva accanto al fratello. Spiego a mio figlio, 5 anni, che in alcune
case possono entrarci tutti, pagando un biglietto, soprattutto se ci vivevano uomini e donne che hanno fatto - e lasciato - qualcosa
di bello per tutti. L’Intelligenza artificiale ci permette di ascoltare D’Annunzio
“in persona”, che accoglie i turisti, introducendo alla visita. Vorrei
trattenere ogni istante di questa giornata in Abruzzo, una terra che mi fa
sentire a casa, in pace, mai tradita. Prometto a me stessa che continuerò a far
vivere e ad alimentare questo legame.
Il profumo di frittura di pesce si fa spazio tra i vicoli
del centro e ci fa venire fame. Vaghi ricordi di viaggi passati mi riportano al
“White Bakery”, ristorante americano che propone donuts, pancake e waffle,
apple pie, sandwich e hot dog. Proviamo a cercarlo e lo troviamo, a due passi
dalla stazione centrale. La sosta è d’obbligo e, mentre assaporo un waffle con
yogurt, fragole e mirtilli, qualche velo di nostalgia “mi lucida” gli occhi.
Guardo mio figlio bagnarsi le mani nella fontana della piazza, mentre saltella
libero e felice, e mi auguro che impari ad amare il viaggio per imparare, così,
ad amare il mondo. Passeggiamo senza meta e fino al tramonto. Poi rientriamo al
bed and breakfast e il pensiero della cerimonia di premiazione dell’indomani
mi fa battere il cuore.
La scrittura trasforma il dolore in bellezza. Lo insegna
la letteratura, e chi scrive lo sa bene. Io ci ho provato con un racconto che parla
di un lutto che diventa vita, speranza. L’ho scritto la notte in cui è venuta a
mancare mia nonna, ad aprile. Era nel cassetto, l’ho tirato fuori quando sono
venuta a conoscenza del premio letterario dedicato all’avvocato Brunetti. E, sabato
27 settembre, al Comune di Pescara, quel racconto è stato premiato con un
quarto posto. Abbiamo vissuto un momento di intense emozioni, di conoscenze e
di relazioni, di abbracci, sorrisi e di strette di mano. Perché, al di là di
posti e di premi, la scrittura può. Può tanto. Può tutto. E spesso salva, non
solo dai propri dolori, ma dall’indifferenza, dalla superficialità, da ciò che
valore non è. Io sono grata alla Vita per questo.
Le mie “battaglie” le ho sempre fatte con la penna in
mano. E oggi nulla è tanto più urgente quanto scrivere. Così, dopo tempo, ripubblico
qualcosa sul mio blog, perché non riesco a stare in silenzio davanti ad una
battaglia che non è solo la mia. Gaza è responsabilità di tutti, è sotto gli occhi
di tutti. Gaza brucia, Gaza urla, Gaza implora aiuto e non possiamo restare a
guardare senza fare nulla. Dov’è finita l’umanità? Non siamo difronte a due
eserciti che si fronteggiano, ma ad un esercito – quello israeliano – che colpisce i civili palestinesi.
Da marzo, il numero di sfollati all’interno della striscia
supera il milione di persone. I palestinesi si mettono in viaggio, fuggono, ma
dove? Non c’è un posto sicuro per loro, per i loro bambini, per gli anziani
inermi. È un esodo senza speranza, un viaggio per cercare di evitare di essere
numeri nello sterminio. La popolazione è intrappolata tra bombe e macerie,
senza cibo né acqua. Si colpiscono aree a ridosso dei pochi ospedali
funzionanti, dei centri di distribuzione degli aiuti umanitari, tende, carovane
costipate di profughi in fuga verso il sud del Paese.
A Sderot gli israeliani, pagando cinque shekel (poco più
di un euro), possono guardare le rovine di Gaza attraverso binocoli a gettoni
piazzati sulla collina. Un’attrattiva turistica che punta sui bombardamenti,
sulle colonne di fumo e che permette di “godersi lo spettacolo” in sicurezza. Ogni
tanto viene scattata una foto ricordo. Possibile che si arrivi a questo?
In media, 28 bambini muoiono quotidianamente sotto le bombe.
Oltre 320mila bambini sotto i cinque anni sono malnutriti. Tantissimi quelli amputati,
saltati in aria, ridotti in frammenti per essere nati nell’inferno. Il silenzio
è complice di questa inaudita violazione dei diritti umani.
Oggi sono donna, sono madre e sono anche docente di
storia. Insegno storia e la storia mi insegna a commemorare le tragedie perché
non si ripetano più. Intanto le tragedie tornano e non me la sento di entrare
in classe senza far seguire alle parole i fatti. Commemorare non basta, se qualcosa
si può fare per evitare ulteriori morti.
Oggi in classe non sono entrata. La mia aula è stata la
piazza, la mia lavagna la bandiera della Palestina. Non voglio che tutto si
riduca ad uno sciopero da “mettere in archivio” a fine giornata perché
continuerò a raccontare ai miei ragazzi l’inferno di Gaza. Continueremo a
leggere notizie insieme perché non si resti insensibili a qualcosa che sembra
lontano da noi, ma che tocca tutti. Se educare vuol dire “ex-ducere”, “portare
fuori”, allora è essenziale che si faccia emergere il lato umano, e non solo
nozionistico, della scuola.
Oggi sono madre e i figli delle madri di Gaza sono pure
figli miei. Sento quel dolore e non posso voltarmi dall’altra parte. Se “l’Italia
ripudia la guerra” (Costituzione, articolo 11), lo faccia davvero, con
convinzione, gridandolo con la stessa intensità con cui urla – di dolore – il popolo
palestinese.
Dopo la prima curva, stelle. La macchina sale, e ancora stelle. Stasera, senza una sola nuvola a sfiorare il cielo, le luci sembrano più vicine. I pensieri rimbalzano sul silenzio di queste montagne, sui residui di un autunno ormai lontano.
La neve ghiacciata ha trovato casa sul ciglio della strada.
Il tragitto da Castel di Sangro a Roccaraso è una manciata di chilometri. La
distanza riavvolge il nastro della giornata, la mente ripercorre i binari, l’entusiasmo
si assopisce tra gli angoli delle fotografie scattate. Torno a casa ricaricata
dalla bellezza dei luoghi e degli incontri.
Qualche goccia d’acqua superstite riga le ciaspole. Cerco di
ricordare i nomi delle tante persone conosciute in poche ore. La memoria fa
qualche scherzo, ma i volti restano presenti, ognuno con la propria storia. C’è
chi insegna, chi fa l’impiegato, chi studia, chi gioca perché ha ancora 5 anni e
chi gira il mondo da sempre. Assunta, Alba, Giuseppe, Giovanni, Claudia,
Annalisa, Carmine. L’elenco ne conta 470, tutti su un unico treno. Uno di quei
treni con le rifiniture in legno e costruiti negli anni ’30, fermo già da
qualche decennio. Le età sono diverse, gli occhi ugualmente curiosi.
È la terza volta che percorro la tratta nota come «Transiberiana d’Italia» e mi sento fortunata. L’atmosfera è condita dall’euforia di quei
gruppi affiatati che stanno partendo per un viaggio di sola andata. «Meraviglia»,
penso. Il viaggio durerà una sola giornata, ma so che lo porterò con me per
tutta la vita.
Il treno parte dal Molise, da Isernia precisamente, ma noi
lo aspettiamo in Abruzzo, alla stazione di Castel di Sangro (Aq). Il gruppo è
compatto, alla Transiberiana questa volta partecipo con il Cai - Club alpino
italiano - di Castel di Sangro, dalla cui famiglia sono stata accolta. Escursionisti
infaticabili che mi mostrano come indossare le ciaspole e le ghette. Il gruppo
ha organizzato la giornata insieme al Cai Molise, con le sezioni di Isernia,
Campobasso, Bojano e Montaquila, al Tam - Tutela ambiente montano - di Isernia,
all’associazione «Le rotaie» e alla «Pro Loco» di Campo di Giove.
Si sale. Si parte. Roccaraso, Rivisondoli-Pescocostanzo. Qui
il picco è 1268 metri, secondo solamente al Brennero, che di metri ne conta
1370. Il treno fischia e, dopo una sosta di qualche minuto, riaccende i motori.
Intorno, un mantello tutto bianco, tanto che in alcuni tratti sembra di stare
al Polo Nord. Terra e cielo si confondono in un unico colore, e la nebbia fa la
sua parte e veste di sfumature il paesaggio.
Nei vagoni le voci giocano a rincorrersi. Palena. Si scende.
I produttori locali, insieme al Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise,
mostrano e offrono le prelibatezze del posto. Pizza fritta, miele, formaggi e
salumi, oltre ai legumi, fanno da sfondo ad un paesaggio che lascia senza
fiato. L’accoglienza che l’Abruzzo offre distingue questa regione, facendola
splendere sempre.
I bambini si tuffano nelle neve come se fosse schiuma di
mare. Si lanciano con le padelle da pendii scivolosi e fanno i capricci per
andare a cavallo. I monti, intorno, vestono il cielo di altezze. Il treno è
pronto per rimettersi in viaggio, per arrivare a Campo di Giove. La distanza copre
il tempo di un’altra piacevole chiacchierata. I passeggeri preparano le
ciaspole, racchette infallibili per camminare sulla neve alta. A Campo di Giove
ci aspettano la polenta fumante e le tagliatelle con la salsiccia e i funghi,
ma per arrivare al ristorante dobbiamo percorrere, quasi in fila indiana, un
chilometro di boschi e di neve. Si suda, ma la sensazione indescrivibile che
dona lo scenario mette in secondo piano ogni fatica. E lassù, ancora incanto.
Nel viaggio di ritorno, ascolto le poesie e i racconti di
Pasetta, il Garibaldi del posto. In cammino da una vita, ha vissuto per anni a
New York ed è, infine, tornato in Abruzzo, sul luogo d’origine, Barrea.
Mi sento ricca. L’Abruzzo incanta, lo fa ogni volta come se
fosse la prima. Come se ogni volta avesse qualcosa di nuovo da offrire. Terra
umile e meravigliosa.
Colonna sonora: Yiruma, Kiss the rain, esecuzione Bevani flute