domenica 28 settembre 2025

Pescara, quell'angolo d'autunno in riva al mare

 di Anna Maria Colonna

I gabbiani hanno lasciato qualche impronta sulla sabbia umida, poi sono volati via, a rincorrere sbuffi di nuvole e vento. Il cielo è un’esplosione di colori: arancione, blu, azzurro, rosa pallido. È l’ora più bella, quella che racconta le storie della buonanotte.

Sono a Pescara per il premio letterario “Essere Oltre –L’Essenza della Vita tra Emozioni e Riflessioni”, dedicato alla memoria dell’avvocato Valentino Brunetti. E sono difronte al mare, a dirmi quanto sia semplice la bellezza. Nello zaino, carta e penna; accanto a me, la mia famiglia; sulla mia testa, il cielo d’Abruzzo. Cose, persone, paesaggi a cui non rinuncerei per nulla al mondo. Mentre ancora tutti dormono, con l’odore del caffè bollente che invade la camera del bed and breakfast e il sapore della nutella sulla mia fetta biscottata, torno a scrivere di viaggi e di emozioni. Mi è mancata, la scrittura, in questi anni. Le passioni, prima o poi, ricominciano a bussare alla porta per chiederti il conto.

 “Ama il tuo sogno, seppur ti tormenta”. Gabriele D’Annunzio, a Pescara, continua a vivere, e non solo nella sua casa natale. Non è un caso se, visitando la sua abitazione, su corso Manthoné, quella frase mi ricapita sotto gli occhi. Peso ogni passo tra manoscritti e fotografie, scrittoio e letto dove il Vate dormiva accanto al fratello. Spiego a mio figlio, 5 anni, che in alcune case possono entrarci tutti, pagando un biglietto, soprattutto se ci vivevano uomini e donne che hanno fatto - e lasciato - qualcosa di bello per tutti. L’Intelligenza artificiale ci permette di ascoltare D’Annunzio “in persona”, che accoglie i turisti, introducendo alla visita. Vorrei trattenere ogni istante di questa giornata in Abruzzo, una terra che mi fa sentire a casa, in pace, mai tradita. Prometto a me stessa che continuerò a far vivere e ad alimentare questo legame.

Il profumo di frittura di pesce si fa spazio tra i vicoli del centro e ci fa venire fame. Vaghi ricordi di viaggi passati mi riportano al “White Bakery”, ristorante americano che propone donuts, pancake e waffle, apple pie, sandwich e hot dog. Proviamo a cercarlo e lo troviamo, a due passi dalla stazione centrale. La sosta è d’obbligo e, mentre assaporo un waffle con yogurt, fragole e mirtilli, qualche velo di nostalgia “mi lucida” gli occhi. Guardo mio figlio bagnarsi le mani nella fontana della piazza, mentre saltella libero e felice, e mi auguro che impari ad amare il viaggio per imparare, così, ad amare il mondo. Passeggiamo senza meta e fino al tramonto. Poi rientriamo al bed and breakfast e il pensiero della cerimonia di premiazione dell’indomani mi fa battere il cuore.

 La scrittura trasforma il dolore in bellezza. Lo insegna la letteratura, e chi scrive lo sa bene. Io ci ho provato con un racconto che parla di un lutto che diventa vita, speranza. L’ho scritto la notte in cui è venuta a mancare mia nonna, ad aprile. Era nel cassetto, l’ho tirato fuori quando sono venuta a conoscenza del premio letterario dedicato all’avvocato Brunetti. E, sabato 27 settembre, al Comune di Pescara, quel racconto è stato premiato con un quarto posto. Abbiamo vissuto un momento di intense emozioni, di conoscenze e di relazioni, di abbracci, sorrisi e di strette di mano. Perché, al di là di posti e di premi, la scrittura può. Può tanto. Può tutto. E spesso salva, non solo dai propri dolori, ma dall’indifferenza, dalla superficialità, da ciò che valore non è. Io sono grata alla Vita per questo.


















lunedì 22 settembre 2025

Una foto ricordo su Gaza: dov'è finita l'umanità?

 di Anna Maria Colonna

Le mie “battaglie” le ho sempre fatte con la penna in mano. E oggi nulla è tanto più urgente quanto scrivere. Così, dopo tempo, ripubblico qualcosa sul mio blog, perché non riesco a stare in silenzio davanti ad una battaglia che non è solo la mia. Gaza è responsabilità di tutti, è sotto gli occhi di tutti. Gaza brucia, Gaza urla, Gaza implora aiuto e non possiamo restare a guardare senza fare nulla. Dov’è finita l’umanità? Non siamo difronte a due eserciti che si fronteggiano, ma ad un esercito – quello israeliano – che colpisce i civili palestinesi.

Da marzo, il numero di sfollati all’interno della striscia supera il milione di persone. I palestinesi si mettono in viaggio, fuggono, ma dove? Non c’è un posto sicuro per loro, per i loro bambini, per gli anziani inermi. È un esodo senza speranza, un viaggio per cercare di evitare di essere numeri nello sterminio. La popolazione è intrappolata tra bombe e macerie, senza cibo né acqua. Si colpiscono aree a ridosso dei pochi ospedali funzionanti, dei centri di distribuzione degli aiuti umanitari, tende, carovane costipate di profughi in fuga verso il sud del Paese.

 A Sderot gli israeliani, pagando cinque shekel (poco più di un euro), possono guardare le rovine di Gaza attraverso binocoli a gettoni piazzati sulla collina. Un’attrattiva turistica che punta sui bombardamenti, sulle colonne di fumo e che permette di “godersi lo spettacolo” in sicurezza. Ogni tanto viene scattata una foto ricordo. Possibile che si arrivi a questo?

In media, 28 bambini muoiono quotidianamente sotto le bombe. Oltre 320mila bambini sotto i cinque anni sono malnutriti. Tantissimi quelli amputati, saltati in aria, ridotti in frammenti per essere nati nell’inferno. Il silenzio è complice di questa inaudita violazione dei diritti umani.

 Oggi sono donna, sono madre e sono anche docente di storia. Insegno storia e la storia mi insegna a commemorare le tragedie perché non si ripetano più. Intanto le tragedie tornano e non me la sento di entrare in classe senza far seguire alle parole i fatti. Commemorare non basta, se qualcosa si può fare per evitare ulteriori morti.

Oggi in classe non sono entrata. La mia aula è stata la piazza, la mia lavagna la bandiera della Palestina. Non voglio che tutto si riduca ad uno sciopero da “mettere in archivio” a fine giornata perché continuerò a raccontare ai miei ragazzi l’inferno di Gaza. Continueremo a leggere notizie insieme perché non si resti insensibili a qualcosa che sembra lontano da noi, ma che tocca tutti. Se educare vuol dire “ex-ducere”, “portare fuori”, allora è essenziale che si faccia emergere il lato umano, e non solo nozionistico, della scuola.

Oggi sono madre e i figli delle madri di Gaza sono pure figli miei. Sento quel dolore e non posso voltarmi dall’altra parte. Se “l’Italia ripudia la guerra” (Costituzione, articolo 11), lo faccia davvero, con convinzione, gridandolo con la stessa intensità con cui urla – di dolore – il popolo palestinese.


venerdì 17 febbraio 2017

Transiberiana, incanto del centro Italia

terrenomadi@gmail.com

Dopo la prima curva, stelle. La macchina sale, e ancora stelle. Stasera, senza una sola nuvola a sfiorare il cielo, le luci sembrano più vicine. I pensieri rimbalzano sul silenzio di queste montagne, sui residui di un autunno ormai lontano.
La neve ghiacciata ha trovato casa sul ciglio della strada. Il tragitto da Castel di Sangro a Roccaraso è una manciata di chilometri. La distanza riavvolge il nastro della giornata, la mente ripercorre i binari, l’entusiasmo si assopisce tra gli angoli delle fotografie scattate. Torno a casa ricaricata dalla bellezza dei luoghi e degli incontri.

Qualche goccia d’acqua superstite riga le ciaspole. Cerco di ricordare i nomi delle tante persone conosciute in poche ore. La memoria fa qualche scherzo, ma i volti restano presenti, ognuno con la propria storia. C’è chi insegna, chi fa l’impiegato, chi studia, chi gioca perché ha ancora 5 anni e chi gira il mondo da sempre. Assunta, Alba, Giuseppe, Giovanni, Claudia, Annalisa, Carmine. L’elenco ne conta 470, tutti su un unico treno. Uno di quei treni con le rifiniture in legno e costruiti negli anni ’30, fermo già da qualche decennio. Le età sono diverse, gli occhi ugualmente curiosi.

È la terza volta che percorro la tratta nota come «Transiberiana d’Italia» e mi sento fortunata. L’atmosfera è condita dall’euforia di quei gruppi affiatati che stanno partendo per un viaggio di sola andata. «Meraviglia», penso. Il viaggio durerà una sola giornata, ma so che lo porterò con me per tutta la vita.  

Il treno parte dal Molise, da Isernia precisamente, ma noi lo aspettiamo in Abruzzo, alla stazione di Castel di Sangro (Aq). Il gruppo è compatto, alla Transiberiana questa volta partecipo con il Cai - Club alpino italiano - di Castel di Sangro, dalla cui famiglia sono stata accolta. Escursionisti infaticabili che mi mostrano come indossare le ciaspole e le ghette. Il gruppo ha organizzato la giornata insieme al Cai Molise, con le sezioni di Isernia, Campobasso, Bojano e Montaquila, al Tam - Tutela ambiente montano - di Isernia, all’associazione «Le rotaie» e alla «Pro Loco» di Campo di Giove.

Si sale. Si parte. Roccaraso, Rivisondoli-Pescocostanzo. Qui il picco è 1268 metri, secondo solamente al Brennero, che di metri ne conta 1370. Il treno fischia e, dopo una sosta di qualche minuto, riaccende i motori. Intorno, un mantello tutto bianco, tanto che in alcuni tratti sembra di stare al Polo Nord. Terra e cielo si confondono in un unico colore, e la nebbia fa la sua parte e veste di sfumature il paesaggio.

Nei vagoni le voci giocano a rincorrersi. Palena. Si scende. I produttori locali, insieme al Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise, mostrano e offrono le prelibatezze del posto. Pizza fritta, miele, formaggi e salumi, oltre ai legumi, fanno da sfondo ad un paesaggio che lascia senza fiato. L’accoglienza che l’Abruzzo offre distingue questa regione, facendola splendere sempre.

I bambini si tuffano nelle neve come se fosse schiuma di mare. Si lanciano con le padelle da pendii scivolosi e fanno i capricci per andare a cavallo. I monti, intorno, vestono il cielo di altezze. Il treno è pronto per rimettersi in viaggio, per arrivare a Campo di Giove. La distanza copre il tempo di un’altra piacevole chiacchierata. I passeggeri preparano le ciaspole, racchette infallibili per camminare sulla neve alta. A Campo di Giove ci aspettano la polenta fumante e le tagliatelle con la salsiccia e i funghi, ma per arrivare al ristorante dobbiamo percorrere, quasi in fila indiana, un chilometro di boschi e di neve. Si suda, ma la sensazione indescrivibile che dona lo scenario mette in secondo piano ogni fatica. E lassù, ancora incanto.

Nel viaggio di ritorno, ascolto le poesie e i racconti di Pasetta, il Garibaldi del posto. In cammino da una vita, ha vissuto per anni a New York ed è, infine, tornato in Abruzzo, sul luogo d’origine, Barrea.

Mi sento ricca. L’Abruzzo incanta, lo fa ogni volta come se fosse la prima. Come se ogni volta avesse qualcosa di nuovo da offrire. Terra umile e meravigliosa.

 
Colonna sonora: Yiruma, Kiss the rain, esecuzione Bevani flute

Cliccare sulle foto per ingrandire