lunedì 22 settembre 2025

Una foto ricordo su Gaza: dov'è finita l'umanità?

 di Anna Maria Colonna

Le mie “battaglie” le ho sempre fatte con la penna in mano. E oggi nulla è tanto più urgente quanto scrivere. Così, dopo tempo, ripubblico qualcosa sul mio blog, perché non riesco a stare in silenzio davanti ad una battaglia che non è solo la mia. Gaza è responsabilità di tutti, è sotto gli occhi di tutti. Gaza brucia, Gaza urla, Gaza implora aiuto e non possiamo restare a guardare senza fare nulla. Dov’è finita l’umanità? Non siamo difronte a due eserciti che si fronteggiano, ma ad un esercito – quello israeliano – che colpisce i civili palestinesi.

Da marzo, il numero di sfollati all’interno della striscia supera il milione di persone. I palestinesi si mettono in viaggio, fuggono, ma dove? Non c’è un posto sicuro per loro, per i loro bambini, per gli anziani inermi. È un esodo senza speranza, un viaggio per cercare di evitare di essere numeri nello sterminio. La popolazione è intrappolata tra bombe e macerie, senza cibo né acqua. Si colpiscono aree a ridosso dei pochi ospedali funzionanti, dei centri di distribuzione degli aiuti umanitari, tende, carovane costipate di profughi in fuga verso il sud del Paese.

 A Sderot gli israeliani, pagando cinque shekel (poco più di un euro), possono guardare le rovine di Gaza attraverso binocoli a gettoni piazzati sulla collina. Un’attrattiva turistica che punta sui bombardamenti, sulle colonne di fumo e che permette di “godersi lo spettacolo” in sicurezza. Ogni tanto viene scattata una foto ricordo. Possibile che si arrivi a questo?

In media, 28 bambini muoiono quotidianamente sotto le bombe. Oltre 320mila bambini sotto i cinque anni sono malnutriti. Tantissimi quelli amputati, saltati in aria, ridotti in frammenti per essere nati nell’inferno. Il silenzio è complice di questa inaudita violazione dei diritti umani.

 Oggi sono donna, sono madre e sono anche docente di storia. Insegno storia e la storia mi insegna a commemorare le tragedie perché non si ripetano più. Intanto le tragedie tornano e non me la sento di entrare in classe senza far seguire alle parole i fatti. Commemorare non basta, se qualcosa si può fare per evitare ulteriori morti.

Oggi in classe non sono entrata. La mia aula è stata la piazza, la mia lavagna la bandiera della Palestina. Non voglio che tutto si riduca ad uno sciopero da “mettere in archivio” a fine giornata perché continuerò a raccontare ai miei ragazzi l’inferno di Gaza. Continueremo a leggere notizie insieme perché non si resti insensibili a qualcosa che sembra lontano da noi, ma che tocca tutti. Se educare vuol dire “ex-ducere”, “portare fuori”, allora è essenziale che si faccia emergere il lato umano, e non solo nozionistico, della scuola.

Oggi sono madre e i figli delle madri di Gaza sono pure figli miei. Sento quel dolore e non posso voltarmi dall’altra parte. Se “l’Italia ripudia la guerra” (Costituzione, articolo 11), lo faccia davvero, con convinzione, gridandolo con la stessa intensità con cui urla – di dolore – il popolo palestinese.