lunedì 17 novembre 2025

Di madre in figlia, il "viaggio" di tre donne alla ricerca di se stesse

di Anna Maria Colonna

Tre donne e tutto il carico delle loro storie: una madre, una figlia, una nonna. In realtà, di donne ce ne sono molte di più: c’è la maestra Olga, nonna Agata, la psicologa, l’attrice Angela Molina, Alma. Donne spesso sole, a tu per tu con un passato che torna e con cui non riescono a fare pace. La giornalista e scrittrice Concita De Gregorio, nel suo ultimo romanzo, “Di madre in figlia” (Feltrinelli, 2025), parla al femminile. Gli uomini che compaiono tra le pagine, ad un certo punto, vanno via, muoiono, abbandonano, scelgono di non esserci. 

Adé ha sedici anni e per un’estate starà a casa di nonna Marilù, su un’isola immaginaria, di cui non viene svelato il nome (sappiamo, però, che siamo vicini alla Puglia, ad un certo punto si cita la zona di Martina Franca). I genitori della ragazza, Angela e Gregor, due scienziati, devono partire per lavoro e non sanno a chi e dove lasciarla. Marilù e Angela, madre e figlia, non si parlano da dieci anni, ma alternative non ce ne sono: Adé dovrà stare con la nonna. All’inizio il rapporto è teso, la ragazza pensa che sua nonna sia pazza, sospetta che sia una strega, indaga nel suo passato avventuroso ed eccentrico per scoprire segreti, per cogliere indizi. Ne resta, però, affascinata.

E il passato riemerge, prepotente e costante, in tutta la storia. In tutte le storie che si raccontano nel romanzo. Torna nella vita di Angela, quando rinfaccia alla madre di essere stata egoista, di averle imposto una libertà tutta sua, di averla abbandonata. Il passato si affaccia nella quotidianità di Marilù, con la ricomparsa di un uomo che ha segnato parte della sua giovinezza e che lei non vuole vedere. Condannata e accusata dal paese di essere “il demonio” che “ha portato il fuoco”, incolpata di mille disgrazie, Marilù ricorda molto da vicino “La lupa” di Giovanni Verga, emarginata e guardata con sospetto, tenuta a debita distanza.

Adé, di contro, cerca di entrare nel passato della nonna e della madre per capire chi sono davvero le donne che le camminano accanto nel difficile percorso della sua età. “Chi è una cattiva persona?”, si chiede la ragazza, mentre cerca di rimettere insieme i pezzi delle sue fragilità. 

Con il passato prima o poi bisogna fare i conti. Non si possono cancellare né dimenticare frammenti di vita perché, poi, marciscono. Bisogna tenerli e trasformarli, come quelle mele ammaccate con cui nonna e nipote, nelle ultime pagine del libro, fanno una torta, riconciliandosi con la vita.

Sullo sfondo c’è il mare, che cura tutto perché il suo rumore “ti addormenta”. E addormentarsi, significa, in fin dei conti, salire sulla parte più alta dell’isola per rimanere con se stessi, per estraniarsi dal resto del mondo, anche quando tutto va in fiamme e sembra perduto. Il mare cura e uccide. Così come la belladonna, pianta che è terapia e veleno. “Il segreto di ogni cosa - scrive la De Gregorio - è la giusta misura. Un farmaco è veleno e salvezza. Ogni cura lo è. Anche l’amore: può soffocare, condannare o liberare”. E penso inevitabilmente a “La cura” di Franco Battiato e al suo “mare”, attraversato da “sogni più veloci di aquile”. Anche tra le note della canzone compare il mare, azzurro come la copertina del romanzo, curativo come quello della giornalista pisana.

 E, infine, c’è la luna, simbolo del femminile, della ciclicità, della trasformazione. Quella luna stessa che fa chiarezza nel buio di Angela, che permette di vedere, di accorgersi. La luna chiude il romanzo e il viaggio che ogni donna di questa meravigliosa storia compie in se stessa.