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Dopo la prima curva, stelle. La macchina sale, e ancora stelle. Stasera, senza una sola nuvola a sfiorare il cielo, le luci sembrano più vicine. I pensieri rimbalzano sul silenzio di queste montagne, sui residui di un autunno ormai lontano.
La neve ghiacciata ha trovato casa sul ciglio della strada.
Il tragitto da Castel di Sangro a Roccaraso è una manciata di chilometri. La
distanza riavvolge il nastro della giornata, la mente ripercorre i binari, l’entusiasmo
si assopisce tra gli angoli delle fotografie scattate. Torno a casa ricaricata
dalla bellezza dei luoghi e degli incontri.
Qualche goccia d’acqua superstite riga le ciaspole. Cerco di
ricordare i nomi delle tante persone conosciute in poche ore. La memoria fa
qualche scherzo, ma i volti restano presenti, ognuno con la propria storia. C’è
chi insegna, chi fa l’impiegato, chi studia, chi gioca perché ha ancora 5 anni e
chi gira il mondo da sempre. Assunta, Alba, Giuseppe, Giovanni, Claudia,
Annalisa, Carmine. L’elenco ne conta 470, tutti su un unico treno. Uno di quei
treni con le rifiniture in legno e costruiti negli anni ’30, fermo già da
qualche decennio. Le età sono diverse, gli occhi ugualmente curiosi.
È la terza volta che percorro la tratta nota come «Transiberiana d’Italia» e mi sento fortunata. L’atmosfera è condita dall’euforia di quei
gruppi affiatati che stanno partendo per un viaggio di sola andata. «Meraviglia»,
penso. Il viaggio durerà una sola giornata, ma so che lo porterò con me per
tutta la vita.
Il treno parte dal Molise, da Isernia precisamente, ma noi
lo aspettiamo in Abruzzo, alla stazione di Castel di Sangro (Aq). Il gruppo è
compatto, alla Transiberiana questa volta partecipo con il Cai - Club alpino
italiano - di Castel di Sangro, dalla cui famiglia sono stata accolta. Escursionisti
infaticabili che mi mostrano come indossare le ciaspole e le ghette. Il gruppo
ha organizzato la giornata insieme al Cai Molise, con le sezioni di Isernia,
Campobasso, Bojano e Montaquila, al Tam - Tutela ambiente montano - di Isernia,
all’associazione «Le rotaie» e alla «Pro Loco» di Campo di Giove.
Si sale. Si parte. Roccaraso, Rivisondoli-Pescocostanzo. Qui
il picco è 1268 metri, secondo solamente al Brennero, che di metri ne conta
1370. Il treno fischia e, dopo una sosta di qualche minuto, riaccende i motori.
Intorno, un mantello tutto bianco, tanto che in alcuni tratti sembra di stare
al Polo Nord. Terra e cielo si confondono in un unico colore, e la nebbia fa la
sua parte e veste di sfumature il paesaggio.
Nei vagoni le voci giocano a rincorrersi. Palena. Si scende.
I produttori locali, insieme al Parco nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise,
mostrano e offrono le prelibatezze del posto. Pizza fritta, miele, formaggi e
salumi, oltre ai legumi, fanno da sfondo ad un paesaggio che lascia senza
fiato. L’accoglienza che l’Abruzzo offre distingue questa regione, facendola
splendere sempre.
I bambini si tuffano nelle neve come se fosse schiuma di
mare. Si lanciano con le padelle da pendii scivolosi e fanno i capricci per
andare a cavallo. I monti, intorno, vestono il cielo di altezze. Il treno è
pronto per rimettersi in viaggio, per arrivare a Campo di Giove. La distanza copre
il tempo di un’altra piacevole chiacchierata. I passeggeri preparano le
ciaspole, racchette infallibili per camminare sulla neve alta. A Campo di Giove
ci aspettano la polenta fumante e le tagliatelle con la salsiccia e i funghi,
ma per arrivare al ristorante dobbiamo percorrere, quasi in fila indiana, un
chilometro di boschi e di neve. Si suda, ma la sensazione indescrivibile che
dona lo scenario mette in secondo piano ogni fatica. E lassù, ancora incanto.
Nel viaggio di ritorno, ascolto le poesie e i racconti di
Pasetta, il Garibaldi del posto. In cammino da una vita, ha vissuto per anni a
New York ed è, infine, tornato in Abruzzo, sul luogo d’origine, Barrea.
Mi sento ricca. L’Abruzzo incanta, lo fa ogni volta come se
fosse la prima. Come se ogni volta avesse qualcosa di nuovo da offrire. Terra
umile e meravigliosa.