mercoledì 2 settembre 2015

Dalla Calabria al mondo, intervista a Giovanni Maiolo

di Anna Maria Colonna
terrenomadi@gmail.com


Classe '80, calabrese per nascita, nomade per passione. Giovanni Maiolo a sei mesi ha lasciato la terra natia insieme ai genitori per stabilirsi in Lombardia, dove è rimasto per quattordici anni prima di tornare alle radici. Attualmente vive a Caulonia, in provincia di Reggio Calabria. «Ma - scherza - sarebbe meglio dire che dormo a Caulonia, visto che la vedo solo di notte, durante il giorno sono sempre altrove». Laureato in scienze politiche, «il miglior corso di studio, anche per restare disoccupato, ma non è il mio caso», attualmente coordina un progetto di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati ed è direttore di una testata giornalistica online locale, ciavula.it. Considera passione sinonimo di vita. Terre Nomadi lo ha intervistato.

Viaggi e vita o viaggi nella vita?
Scontato rispondere che la vita è un viaggio e che a scegliere la meta e il percorso sei tu. C’è chi riesce a vivere di viaggi. Ho anche conosciuto, grazie al couchsurfing, chi lo fa. Un americano che ho ospitato gira il mondo in bicicletta e ogni sera si ferma da qualche parte, accende il pc, lo connette alla rete e si collega via skype coi suoi studenti - conosciuti durante il viaggio - a cui dà lezioni di inglese e spagnolo. Le lezioni vengono pagate con dei bonifici, così lui può lavorare viaggiando. Insomma, come in ogni aspetto della vita, le possibilità sono infinite, a noi decidere verso quale andare. Ultimamente viaggio poco - un viaggio oltreoceano all’anno e due o tre viaggetti non troppo lontano - a causa delle responsabilità lavorative. In qualche modo il lavoro mi fa viaggiare perché, anche se non sono io ad andare incontro al mondo, incontro i mondi che arrivano in Italia dall’Africa e dal Medioriente, visi, storie, odori, sorrisi e lacrime.

Machu Picchu, Perù
Quando hai iniziato a viaggiare e perché?
Come tutti gli uomini deboli che vanno in crisi quando un amore finisce, ho cominciato a viaggiare per superare il dolore, per fuggire, illudendomi che bastasse spostarsi per lasciare a casa la negatività. Ho imparato col tempo che quella resta dentro di te ed è con te stesso che devi fare i conti, indipendentemente dal luogo in cui ti trovi. Non basta andare all’altro capo del mondo per dimenticare… Da questo errore di valutazione, come effetto collaterale, mi è rimasto l’incanto del viaggio e della scoperta. A distanza di anni, ormai guarito da quell’abbandono, posso dire… meno male che mi ha lasciato!

Cimitero dei treni, Uyuni, Bolivia


Le tue esperienze di viaggio diventano pagine... un'esigenza, la voglia di raccontare e di raccontarti o cosa? 
È da egocentrici citare se stessi, ma lo faccio ugualmente, sperando di  non essere troppo egocentrico. Lettura e scrittura sono strettamente connesse al viaggio. Viaggiando tra le righe di un libro si esplorano mondi, si incontrano amici, si scoprono situazioni, si vivono emozioni. Se poi si legge in viaggio, diventa ancora più importante la scelta dei libri che ti accompagneranno nelle notti sui bus o nei momenti in cui la frenesia ti concede una tregua. In questi giorni di pausa rifletto grazie a Naomi Klein. In Sudamerica, perdendomi nella natura, leggevo Thoreau. In Polonia, tra lo sballo di una sera e il rincoglionimento del giorno dopo, compagno imprescindibile era Jack Kerouac. In un altro viaggio sudamericano Maggiani e Sepulveda. L’inizio di una lettura è importante quanto la lettura stessa, la decisione di leggere quel libro in quel momento è dettata dalla voglia di partire per certi luoghi, fisici e/o mentali, che in qualche modo vuoi raggiungere. Leggere è viaggiare, viaggiare è sognare. Un libro è il sogno di uno scrittore/sognatore reso disponibile a chi vuole condividerlo. Ci sono sogni buoni e incubi, c’è Sepulveda e c’è Maiolo, non tutti i trip vengono bene. Viaggiare è anche rischiare, leggere e scrivere significano esplorare e il bello è anche non sapere ciò che troverai dietro quella curva, dietro quella pagina, oltre quella vetta, nel prossimo capitolo. Ma vale sempre la pena mettersi in strada con lo zaino in spalla e partire per mete sconosciute. Vale sempre la pena cominciare a scrivere e a leggere un libro. Parte della prefazione a Geografia dell’anima.


Isla del Pescado, Deserto di sale, Bolivia
Il tuo viaggio più bello? Quello più curioso? Il più difficoltoso?
Non so classificare le cose, faccio pena, ma ci provo lo stesso. Il più bello è senza dubbio quello che devo ancora fare. Quello in cui sono stato più curioso di scoprire è stato a Cuba, che ho percorso per intero, da L'Avana a Santiago. Volevo capire quanto fosse grande la differenza tra ciò che ci raccontiamo in Italia e la realtà. Ovviamente c’è un universo di mezzo. Il più difficile nell’Amazzonia venezuelana. Sono stato fortunato a tornare vivo e ho imparato che bisogna avere sempre rispetto dei propri limiti e della potenza smisurata della natura. Possiamo sfidarla fino ad un certo punto, noi miseri moscerini incapaci.

Il tuo viaggio ideale?
Questa domanda mi fa venire in mente la pubblicità patinata delle crociere o dei villaggi vacanze e mi scatena l’orrore. Un buon viaggio è quello da cui torni evoluto, con tante nuove conoscenze. Ma un buon viaggio è anche semplicemente quello da cui torni e basta. Un viaggio è buono a prescindere. Anche solo l’idea di fare un viaggio è già cosa buona.

Tappe già «toccate» e mete da raggiungere?
Sono innamorato dall’America latina per troppe ragioni diverse, quindi conosco Venezuela, Bolivia, Perù, Cuba e non mi è mancata una capatina in Brasile. L’Europa non mi entusiasma, ma resta casa nostra e quindi sono stato in Francia, Inghilterra, Germania, Romania, Polonia, Ucraina, Lettonia, Lituania, Lussemburgo e probabilmente da qualche altra parte che non mi viene in mente. Tra un mese mi aspetta una settimana on the road in Spagna e poi, a fine novembre, si parte per tre settimane in Costa Rica. Facendo l’elenco, mi rendo conto che dovrei anche valutare altri continenti, ma per adesso come mete future c’è la Patagonia e il Chiapas in Messico con Carlo Colonna di Altamura (Ba), se manterrà la parola. E poi un uomo non può morire senza aver visto l’aurora boreale.

Los Roques, Venezuela
Associ solitamente la parola viaggio a che cosa?
Anche questa risposta è scontata, ma la associo alla libertà. Sono solito viaggiare da solo e, in particolare, nel viaggio in Perù e Bolivia mi sono sentito libero. Siamo sempre vincolati da qualcosa, un amore, la famiglia, il lavoro, lo studio, i ruoli che la società ci impone, dobbiamo essere fratelli, figli, amici, fidanzati, colleghi, cittadini, elettori, militanti, amanti… Per andare in Perù mi sono licenziato da tre lavori. Ero vicedirettore di un settimanale locale, lavoravo come sociologo in un progetto di accoglienza per migranti e facevo l’assistente socioeducativo in due scuole superiori. Quando mi sono ritrovato da solo in quelle strade polverose piene di bambini, polvere e cani, senza l’ansia di una data di ritorno o di un lavoro che mi aspettava, ma con la libertà totale di scegliere la direzione, senza limiti di tempo, mi sono sentito davvero libero. Ma forse era solo un’illusione. Anche il condor, quando vola, sembra così libero, ma senza la giusta corrente d’aria è incapace di spiccare il volo.

Isole galleggianti degli Uros, Lago Titicaca, Perù
Cosa ti porti a casa dopo ogni viaggio?
Un Giovanni diverso, che guarda alle cose di sempre da un’altra ottica. E questa diversità è  frutto delle persone, dei luoghi e delle situazioni vissute in viaggio.

Elisewin. Un amore in viaggio, Geografia dell'anima, Vado via. Now I walk... c'è una pagina che hai scritto e a cui sei particolarmente legato?
A dire il vero odio i miei libri, me ne vergogno. L’unico di cui mi salvo davvero qualcosa è Geografia dell’anima, che non a caso ho citato prima.

Tu sei anche promotore di progetto di integrazione sociale dei migranti della Locride che rientra nella Rete dei Comuni Solidali. Di che si tratta?
Lo scontro tra la civiltà e la barbarie è netto. O si sta con chi accoglie e si praticano le politiche di accoglienza, o si sta con chi respinge, con chi ha paura dell’altro, con chi non riesce a concepire la ricchezza della diversità. Per questo noi, sull’esempio di Riace e di Domenico Lucano, pratichiamo l’accoglienza dovunque sia possibile.

















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