terrenomadi@gmail.com
Classe '80, calabrese per nascita, nomade per passione.
Giovanni Maiolo a sei mesi ha lasciato la terra natia insieme ai
genitori per stabilirsi in Lombardia, dove è rimasto per quattordici anni prima
di tornare alle radici. Attualmente vive a Caulonia, in provincia di Reggio
Calabria. «Ma - scherza - sarebbe meglio dire che dormo a Caulonia, visto che
la vedo solo di notte, durante il giorno sono sempre altrove». Laureato in scienze politiche, «il miglior corso di studio,
anche per restare disoccupato, ma non è il mio caso», attualmente coordina un
progetto di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati ed è direttore di
una testata giornalistica online locale, ciavula.it. Considera passione
sinonimo di vita. Terre Nomadi lo ha intervistato.
Scontato rispondere che la vita è un viaggio e che a
scegliere la meta e il percorso sei tu. C’è chi riesce a vivere di viaggi. Ho anche conosciuto, grazie al couchsurfing, chi lo fa. Un americano che ho ospitato gira il mondo in
bicicletta e ogni sera si ferma da qualche parte, accende il pc, lo connette
alla rete e si collega via skype coi suoi studenti - conosciuti durante il
viaggio - a cui dà lezioni di inglese e spagnolo. Le lezioni vengono pagate con
dei bonifici, così lui può lavorare viaggiando. Insomma, come in ogni aspetto
della vita, le possibilità sono infinite, a noi decidere verso quale andare.
Ultimamente viaggio poco - un viaggio oltreoceano all’anno e due o tre viaggetti non troppo lontano - a causa delle responsabilità lavorative.
In qualche modo il lavoro mi fa viaggiare perché, anche se non sono io ad
andare incontro al mondo, incontro i mondi che arrivano in Italia dall’Africa e
dal Medioriente, visi, storie, odori, sorrisi e lacrime.
Machu Picchu, Perù |
Quando hai iniziato a viaggiare e perché?
Come tutti gli uomini deboli che vanno in crisi quando un
amore finisce, ho cominciato a viaggiare per superare il dolore, per fuggire,
illudendomi che bastasse spostarsi per lasciare a casa la negatività. Ho
imparato col tempo che quella resta dentro di te ed è con te stesso che devi
fare i conti, indipendentemente dal luogo in cui ti trovi. Non basta andare
all’altro capo del mondo per dimenticare… Da questo errore di valutazione, come
effetto collaterale, mi è rimasto l’incanto del viaggio e della scoperta. A
distanza di anni, ormai guarito da quell’abbandono, posso dire… meno
male che mi ha lasciato!
Cimitero dei treni, Uyuni, Bolivia |
Le tue esperienze di viaggio diventano pagine... un'esigenza, la voglia di raccontare e di raccontarti o cosa?
È da egocentrici citare se stessi, ma lo faccio
ugualmente, sperando di non essere
troppo egocentrico. Lettura e scrittura sono strettamente connesse al viaggio.
Viaggiando tra le righe di un libro si esplorano mondi, si incontrano amici, si
scoprono situazioni, si vivono emozioni. Se poi si legge in viaggio, diventa
ancora più importante la scelta dei libri che ti accompagneranno nelle notti
sui bus o nei momenti in cui la frenesia ti concede una tregua. In questi
giorni di pausa rifletto grazie a Naomi Klein. In Sudamerica, perdendomi nella
natura, leggevo Thoreau. In Polonia, tra lo sballo di una sera e il
rincoglionimento del giorno dopo, compagno imprescindibile era Jack Kerouac. In
un altro viaggio sudamericano Maggiani e Sepulveda. L’inizio di una lettura è
importante quanto la lettura stessa, la decisione di leggere quel libro in quel
momento è dettata dalla voglia di partire per certi luoghi, fisici e/o mentali,
che in qualche modo vuoi raggiungere. Leggere è viaggiare, viaggiare è sognare.
Un libro è il sogno di uno scrittore/sognatore reso disponibile a chi vuole
condividerlo. Ci sono sogni buoni e incubi, c’è Sepulveda e c’è Maiolo, non
tutti i trip vengono bene. Viaggiare è anche rischiare, leggere e scrivere
significano esplorare e il bello è anche non sapere ciò che troverai dietro
quella curva, dietro quella pagina, oltre quella vetta, nel prossimo capitolo. Ma
vale sempre la pena mettersi in strada con lo zaino in spalla e partire per
mete sconosciute. Vale sempre la pena cominciare a scrivere e a leggere un
libro. Parte della prefazione a Geografia dell’anima.
Isla del Pescado, Deserto di sale, Bolivia |
Il tuo viaggio più bello? Quello più curioso? Il più
difficoltoso?
Non so classificare le cose, faccio pena, ma ci provo lo
stesso. Il più bello è senza dubbio quello che devo ancora fare. Quello in cui
sono stato più curioso di scoprire è stato a Cuba, che ho percorso per intero,
da L'Avana a Santiago. Volevo capire quanto fosse grande la differenza tra ciò
che ci raccontiamo in Italia e la realtà. Ovviamente c’è un universo di mezzo.
Il più difficile nell’Amazzonia venezuelana. Sono stato fortunato a tornare
vivo e ho imparato che bisogna avere sempre rispetto dei propri limiti e della
potenza smisurata della natura. Possiamo sfidarla fino ad un certo punto, noi
miseri moscerini incapaci.
Questa domanda mi fa venire in mente la pubblicità patinata
delle crociere o dei villaggi vacanze e mi scatena l’orrore. Un buon viaggio è
quello da cui torni evoluto, con tante nuove conoscenze. Ma un buon viaggio è
anche semplicemente quello da cui torni e basta. Un viaggio è buono a
prescindere. Anche solo l’idea di fare un viaggio è già cosa buona.
Tappe già «toccate» e mete da raggiungere?
Sono innamorato dall’America latina per troppe ragioni
diverse, quindi conosco Venezuela, Bolivia, Perù, Cuba e non mi è mancata una
capatina in Brasile. L’Europa non mi entusiasma, ma resta casa nostra e quindi
sono stato in Francia, Inghilterra, Germania, Romania, Polonia, Ucraina,
Lettonia, Lituania, Lussemburgo e probabilmente da qualche altra parte che non
mi viene in mente. Tra un mese mi aspetta una settimana on the road in Spagna e
poi, a fine novembre, si parte per tre settimane in Costa Rica. Facendo l’elenco,
mi rendo conto che dovrei anche valutare altri continenti, ma per adesso come
mete future c’è la Patagonia e il Chiapas in Messico con Carlo Colonna di
Altamura (Ba), se manterrà la parola. E poi un uomo non può morire senza aver visto
l’aurora boreale.
Los Roques, Venezuela |
Associ solitamente la parola viaggio a che cosa?
Anche questa risposta è scontata, ma la associo alla
libertà. Sono solito viaggiare da solo e, in particolare, nel viaggio in Perù e
Bolivia mi sono sentito libero. Siamo sempre vincolati da qualcosa, un amore,
la famiglia, il lavoro, lo studio, i ruoli che la società ci impone, dobbiamo
essere fratelli, figli, amici, fidanzati, colleghi, cittadini, elettori,
militanti, amanti… Per andare in Perù mi sono licenziato da tre lavori. Ero
vicedirettore di un settimanale locale, lavoravo come sociologo in un progetto
di accoglienza per migranti e facevo l’assistente socioeducativo in due scuole
superiori. Quando mi sono ritrovato da solo in quelle strade polverose piene di
bambini, polvere e cani, senza l’ansia di una data di ritorno o di un lavoro
che mi aspettava, ma con la libertà totale di scegliere la direzione, senza
limiti di tempo, mi sono sentito davvero libero. Ma forse era solo
un’illusione. Anche il condor, quando vola, sembra così libero, ma senza la
giusta corrente d’aria è incapace di spiccare il volo.
Un Giovanni diverso, che guarda alle cose di sempre da
un’altra ottica. E questa diversità è frutto delle persone, dei luoghi e
delle situazioni vissute in viaggio.
Elisewin. Un amore in viaggio, Geografia dell'anima, Vado via. Now I walk... c'è una pagina che hai scritto e a cui sei particolarmente
legato?
A dire il vero odio i miei libri, me ne vergogno. L’unico di
cui mi salvo davvero qualcosa è Geografia dell’anima, che non a caso ho citato
prima.
Tu sei anche promotore di progetto di integrazione sociale
dei migranti della Locride che rientra nella Rete dei Comuni Solidali. Di che si tratta?
Lo scontro tra la civiltà e la barbarie è netto. O si sta
con chi accoglie e si praticano le politiche di accoglienza, o si sta con chi
respinge, con chi ha paura dell’altro, con chi non riesce a concepire la
ricchezza della diversità. Per questo noi, sull’esempio di Riace e di Domenico
Lucano, pratichiamo l’accoglienza dovunque sia possibile.
Nessun commento:
Posta un commento