Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
«Bene, eccoci qua, dico sottovoce, e un gabbiano si volta a
guardarmi un istante. Un altro matto,
penserà il gabbiano, perché in realtà sono solo, davanti al mare, a Chonchi, un
porto dell'Isola Grande di Chiloé, nell'estremo sud del mondo. Aspetto che
diano l'ordine di salire sul Colono, un traghetto verniciato di rosso e di
bianco, che, dopo vari decenni passati a navigare nel Mar Baltico, Mediterraneo
e Adriatico, è venuto a galleggiare sulle fredde, profonde e imprevedibili
acque australi».
È facile lasciarsi trascinare dai pensieri quando davanti
all’uomo c’è solamente il mare. Luis Sepúlveda li ferma nell’istante in cui nascono,
raccogliendo quelle tracce invisibili su fogli di carta ancora bianchi.
Destinazione Patagonia, un puzzle di luoghi incantati che sembrano non
appartenere a questo mondo. Lo scrittore cileno non può fare a meno di citare i
gabbiani. Il loro volo è simile al passo lento e curioso dei viaggiatori,
sospesi fra cammini mai stanchi e soste che durano attimi. Le mete sono punti
di partenza per inseguire la libertà. Sospesa anch’essa fra cielo e mare.
Proprio come i gabbiani.
L’avventura di Sepúlveda diventa diario di viaggio. Qui
emozioni e stati d’animo si mescolano con la descrizione di luoghi non solo
visitati, ma anche vissuti. Ogni incontro rappresenta una componente
fondamentale dell’esperienza dell’autore. Perché vivere quel luogo significa
incontrarlo nella gente che lo vive quotidianamente.
«Patagonia Express» è un affresco della Patagonia e della
Terra del Fuoco, dipinte attraverso persone conosciute o solamente incrociate.
Lo scrittore si sofferma sugli abitanti del posto, su usi e costumi che fanno
la loro storia. La storia di una terra ancora intatta. Lungo il cammino,
Sepúlveda s’imbatte nell’anziano Eznaola, che attraversa i canali cercando un
vascello fantasma, e nei gauchos, che ogni anno organizzano il campionato di
bugie.
Sullo sfondo, i paesaggi fiabeschi del sud del mondo. Alla
fine del suo viaggio, Sepúlveda non è più solo. «La notte di Santiago - scrive
- sembrava non meno calda del giorno. Iniziai a camminare nel parco, poi per le
strade deserte, e all'improvviso mi accorsi che l'eco dei miei passi si
moltiplicava. Non ero solo. Non sarei stato solo mai più. Coloane mi aveva
passato i suoi fantasmi, i suoi personaggi, gli indio e gli emigranti di tutte
le latitudini che abitano la
Patagonia e la
Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi del mare.
Adesso sono tutti con me e mi permettono di dire a voce alta che vivere è un
magnifico esercizio».
«Scrivono dall'Australia dicendo di essere commossi nel vedere le foto
di Altamura (Ba)». Vincenzo Cornacchia, 23 anni, qualche mese fa ha creato una pagina Facebook che raccoglie immagini storiche della citta murgiana, nota per il pane. Ricordi
vecchi e nuovi intingono il pennello nei colori del vissuto. Quella di Vincenzo
è una mostra virtuale che conta già 1766 «seguaci». Modo semplice e a costo
zero per valorizzare la Puglia nel mondo. La villa comunale, il
teatro Mercadante, piazza Municipio, immagini di famiglia e di protesta sono
solamente alcune delle testimonianze messe insieme nel diario tecnologico di
internet. Terre Nomadi ha intervistato l'ideatore.
Chi è Vincenzo Cornacchia?
Sono un ragazzo di 23 anni, nato ad Altamura. Frequento il biennio di specialistica in chitarra al
conservatorio di Matera. La
musica è sicuramente la mia passione principale e, in parte, già il mio lavoro.
Ascolto di tutto, dalla classica al rock anni '70 e '80, e ho un debole per i
cantautori italiani, uno su tutti Lucio Battisti. Sono innamorato della Murgia
e del nostro territorio e adoro la speleologia. Grazie al Cars (Centro altamurano ricerche speleologiche), riesco a
vedere lati della Murgia e del territorio per me prima sconosciuti.
Come e quando è nata l'idea di creare una pagina Facebook che raccoglie le foto storiche riguardanti Altamura?
L'idea nacque un po' di anni fa.
L'avvenimento che la fece scaturire fu l'abbattimento di molti abeti in
via Mura Megalitiche per lasciare spazio alla costruzione di un nuovo stabile.
Ricordo che in mattinata uscii e al mio ritorno, dopo alcune ore, gli alberi erano
praticamente spariti. La scena mi colpì tantissimo. Con il trascorrere del tempo, mi resi
conto che facevo quasi fatica a ricordare come fosse prima quell'angolo. Gli
alberi erano stati tagliati anche nel ricordo. Così ebbi l'idea di raccogliere quanto più materiale fotografico possibile per non
dimenticare ciò che è stato, per poter notare le differenze con il passato e
per evitare che i ricordi ci ingannino.
Piazza Castello
La pagina Facebook è venuta dopo, molto dopo. Circa due mesi fa. Mi sono accorto che il materiale, sul mio pc, aveva poco senso. Quindi ho pensato di condividerlo con tutti. Lo spirito dei social network è
proprio questo. Ho aperto la pagina, caricato le prime foto e notato un
grosso riscontro da parte di altri utenti, maggiore rispetto alle mie aspettative. Non me l'aspettavo perché pensavo: ma a chi possono
interessare le vecchie foto di Altamura!? Invece mi sbagliavo e l'utilizzo di un social network ha reso le cose
più facili. Nel giro di un paio di giorni tante persone hanno
iniziato ad inviare messaggi, ringraziandomi per la pagina, per gli
upload delle foto e inviandomi altre immagini veramente incredibili. Oltretutto la pagina è seguitissima dagli altamurani emigrati al Nord o
all'estero. La cosa più esilarante è che tutti, quando ringraziano, parlano
al plurale... della serie volevamo ringraziarvi, siete grandi... secondo
me pochi sospettano che dietro quella pagina ci sia un ragazzo di 23 anni.
E poi dicono che siamo un generazione di disinteressati!
Liceo classico Cagnazzi
Quali sono i luoghi più fotografati?
Tra le foto in mio possesso, noto come la Cattedrale sia il luogo in
assoluto più fotografato. È incredibile vedere alcune foto degli anni '90 con il portale della Cattedrale con tanto di erba
parietaria, oppure con la facciata annerita dallo smog delle auto che prima
percorrevano liberamente Corso Federico II di Svevia. Anche piazza Duomo è cambiata moltissimo. Ci sono foto della piazza a mo'
di parcheggio, del monumento ai Caduti assediato dalle auto. Vedendola ora,
di sera e con tutte quelle persone che l'affollano, può sembrare
impossibile che fino a poco fa fosse un parcheggio. Anche lo stabile dell'attuale liceo classico e la villa
adiacente sono luoghi molto fotografati. In alcune immagini, quegli alberi
ora enormi - dovrebbero essere cedri del Libano - ancora non esistevano, anzi, mancavano del tutto le aiuole.
Cosa pensi quando guardi le immagini del passato?
Dalle foto ci si accorge facilemente di eventuali passi in avanti o
indietro. Per esempio, guardando le immagini degli anni '60 e '70 della villa comunale, ci si accorge di come prima le aiuole fossero curatissime e piene di fiori. Da quelle stesse foto possiamo notare come già 40 anni fa avessero la «fissa» di trasformare gli alberi in orribili cubi. Mi sono sempre chiesto il
perché. Perchè trasformare una forma naturale, quale quella dell'albero, in un
cubo, ogni anno, da 40 anni?! Ci sono anche foto veramente belle di Porta Bari con molte pompe di
benzina, io le ricordo. Detto ora ad un ragazzo di 15-16 anni, può sembrare
una follia che a ridosso di un luogo storico così importante ci fossero delle
pompe di benzina.
Qual è la fotografia più «vecchia» e quale quella più «giovane»?
Per la datazione purtroppo non sempre è facile. Spesso la si trova
sulla fotografia, ma la maggior parte delle volte bisogna ricorrere ad una datazione
di media, quindi riferita al decennio più che all'anno preciso in cui la foto è
stata scattata. In questo la pagina Facebook ed i suoi utenti mi aiutano. Una delle immagini più datate credo sia quella del Cagnazzi, di cui ho già parlato. Tra le più attuali c'è una foto fantastica scattata dall'ingegner Michele Difonzo durante i festeggiamenti per la vittoria dei Mondiali del 1982. Già allora si
festeggiava a Porta Bari.
Abruzzo azzurro mare. L’aria è ancora fresca, ma la luce
inzuppata di sole preannuncia una giornata rovente. Qualche chiazza di neve
superstite sulle montagne oppone resistenza all’estate che avanza. I passi sono
lenti, silenziosi, come il paesaggio che fa da tappeto a Vasto (Ch). I colori
abbagliano lo sguardo con la prepotenza innocua di un manto fiorato. Abbasso il
finestrino per sentire i profumi del vento. Tra poco, la libertà dell’orizzonte
color del cielo. Partiamo da Pettorano sul Gizio (Aq), dove Stephanie ha un
bellissimo residence, «Il poggio dei pettirossi». Si è offerta di mostrarmi la
costa dei trabocchi, da Francavilla al Mare a San Salvo. L’ospitalità abruzzese
non si smentisce mai. Salutiamo le rose rosse del giardino e la lavanda che
abbraccia il prato. In pochi minuti siamo in macchina, mentre lo stereo
comincia a cantare.
È domenica mattina. Strada ancora libera. Libero la mente
dai pensieri di una settimana senza tregua. Ci vogliono quasi due ore per
arrivare a destinazione, ma comincio già a scattare qualche fotografia al verde
dell’estate ancora bambina. Tra una parola e l’altra, il tempo vola. La forma
strana di qualche nuvoletta bianca si fa notare. Gareggia con le vette per
prenderne il posto.
Vasto è assaltata dai bagnanti. Troviamo facilmente un
parcheggio allontanandoci di qualche metro dalla spiaggia. Il lungomare è un
mosaico di bancarelle che vendono di tutto: dai vestiti alla bigiotteria, dai
salumi e formaggi abruzzesi ai taralli e pomodori secchi pugliesi. Un venditore
ambulante ci offre un pezzettino di pane con olio e prosciutto crudo «della
casa». Aggiunge un’oliva, un tarallino e un gheriglio di noce. È di Noicattaro
(Ba). Ci invita a visitare la sua regione, che è anche la mia. Sorrido, con un
po’ di nostalgia nel cuore. Il mare è una tavola di cristallo. Il sole si specchia
nell’acqua, ma deve chiudere gli occhi per troppa luce. La sabbia lascia il
posto ai ciottoli, mentre le onde raccontano la storia di Diomede, approdato su
queste coste dopo l’assedio di Troia. L’antica Histonium romana incanta per
l’atmosfera allegra che si respira. Una città in movimento, nel movimento dei
turisti che la osservano con attenzione, vivendola istante dopo istante.
Bagno, sole e kebab bastano per rimetterci in macchina alla
ricerca dei trabocchi, detti anche trabucchi o travocchi. Sbirciamo tra la
vegetazione, mentre la strada passa attraverso Casalbordino (Ch). La sabbia, man
mano che si va verso Rocca San Giovanni e San Vito Chietino, lascia il posto
alle pietre e ad una costa più frastagliata. Selvaggia. Piccoli sentieri
portano in baie nascoste dal verde degli alberi. Ecco il primo trabocco. Fermiamo l’auto e ci affacciamo sul balcone dell’Adriatico. Immenso. Antiche strutture di pesca sospese su
palafitte, conservano le antenne di legno che un tempo sostenevano le reti.
Pezzi da museo all’aperto. Ricordo di averne visti di simili sulle coste del
Gargano. Dicono che siano stati i fenici a portarli qui.
Proseguiamo verso
Fossacesia (Ch). Ancora trabocchi. Ma non possiamo fare a meno di toccare l’acqua.
Si riesce a vedere il fondale. Nella pace del tardo pomeriggio, le onde
sfiorano a malapena il litorale. Tocco leggero di natura.
Le ombre cominciano a giocare a nascondino con gli ultimi
raggi di luce, mentre il giorno si addormenta nell’abbraccio del tramonto. Tra
un po’ i trabocchi saranno illuminati dai lampioncini dell’uomo. Torniamo a
Pettorano, lasciandoci alle spalle il sapore dell’olio agrumato di Fossacesia.
Nella calma della sera, rifletto sui trabocchi medievali, che erano, invece,
macchine d’assedio e di guerra. Intreccio i ricordi della giornata, ritrovando
i pensieri lasciati nel cassetto della mattina. Da domani si ricomincia, ma con
qualcosa di bello da raccontare.
Colonna sonora: Niccolò Fabi, Lontano da me
Grazie ad Alessandro di Nisio per aver segnalato il reportage nella community di Paesaggi d'Abruzzo.
Partiamo in pullman alla scoperta del Parco nazionale
d’Abruzzo. Siamo due insegnanti e venticinque turbolenti alunni pugliesi di
quinta elementare. Ci attendono un soggiorno di quattro giorni a Civitella
Alfedena (Aq) ed escursioni guidate per scoprire il territorio circostante. Un percorso
didattico nel cuore della natura e non solo, perché in questi posti si
intrecciano cultura, tradizioni, tracce del passato e vicende storiche che
hanno scandito la vita degli uomini di una terra incantata e martoriata.
Civitella è il più antico centro della vallata, pochissimi abitanti, ma dalla
personalità tenace, laboriosa, gentile e ferma, come quella di tutti gli
abruzzesi che ho avuto modo di conoscere. Alloggiamo a «I quattro Camosci», un
posto accogliente, dotato di stanze pulite e ben arredate, cucina locale ottima
e personale affabile e competente nel gestire i venticinque
ragazzini, che mettono in subbuglio l’albergo e il resto degli ospiti. Il loro
vocio intermittente anima le stanze e frantuma il silenzio naturale di una cittadina circondata dai monti marsicani e dalla Val di Rose. Fin dal
primo giorno ci fanno sentire a casa, desiderosi di garantire accoglienza e
collaborazione ai piccoli ospiti, che potrebbero sentire nostalgia delle loro
abitudini. Ci aiutano a risolvere i mille problemi che ogni bambino
incontra, affettuosi e premurosi nel venire incontro alle loro esigenze,
tolleranti della vivacità e della rumorosità dei più piccoli, non abituati alla
calma che scandisce l’avvicendarsi delle giornate in un luogo incontaminato e
ignaro dei rumori cittadini. Qui l’unico rumore fragoroso è rappresentato dal tuono e dal lampo che squarcia il rincorrersi repentino di nuvole
improvvisamente grigie e scrosci di pioggia, seguiti da una placida calma.
Tutto sembra fermarsi mentre appare l’arcobaleno, a cui segue una nebbia
vaporosa, che sale incappucciando i monti.
La guida, Umberto Esposito,
presidente di «Wildlife Adventures», si mette a nostra completa
disposizione, anche oltre l’orario stabilito. Rimane a pranzo con noi, contento
di aiutare due insegnanti alle prese con ragazzi iperattivi. Ci guida con calma e pazienza verso le zone ad alto interesse geologico, faunistico,
floristico e storico della zona. La Camosciara è il rifugio di molte specie animali
e vegetali a rischio di estinzione, come il camoscio d’Abruzzo, l’orso bruno
marsicano, l’aquila reale, il lupo e il cervo. Tra i vegetali, notiamo il rarissimo
pino nero e duemila specie di piante diverse, e foreste di faggi. Nella Val di
Rose è possibile avvistare branchi di camosci nell'arco dell’intero anno.
Abbiamo ammirato
paesaggi dalla bellezza primordiale. Gli alunni, estasiati, hanno imparato
ad osservare, a camminare a lungo senza lamentarsi e, incredibile a dirsi, a
fare silenzio per non spaventare o disturbare gli animali selvatici. Come
omaggio alla fantasia dei piccoli, Umberto ci ha fatto conoscere il bosco della Difesa di Pescasseroli, alberi con rami così contorti che sembrano fate,
dinosauri, orsi, folletti perversi e in agguato, un invito al nostro
immaginario nascosto. Questo bosco è stato usato da Luc Jacquet per la ripresa
del film «La volpe e la bambina».
Un'esperienza indimenticabile. Dovremmo
riscoprire il patrimonio naturale del nostro paese per innamorarcene e
per proteggerlo. Vale la pena. Per una terra come l’Abruzzo, vale
senz’altro.