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C'è un posto nel mondo in cui i delfini non trovano pace. La baia di Taiji - cittadina del distretto di Higashimuro, in Giappone - da settembre a marzo si macchia di rosso. Il sangue dei cetacei divora l'acqua salata, incapace per giorni di lavare l'immagine dello strazio.
Interi branchi vengono pescati o uccisi per la loro carne - una prelibatezza nella zona - e per la vendita agli acquari. Mentre milioni di turisti continuano a visitare i sedici siti giapponesi patrimonio dell'umanità, Akihabara e Tokyo Disneyland, i pescatori di Taiji aspettano i cetacei lungo le loro rotte migratorie, al largo della baia.

La mattina dopo, gli addestratori sono già in fila sulla spiaggia per scegliere i delfini da portare nei loro delfinai e nei parchi acquatici. In ogni parte del mondo. Il museo delle balene di Taiji prende accordi, i pescatori e la città si spartiscono i profitti della principale attività economica del posto.
Chiunque può essere spettatore della cattura. Ma esiste un angolo nascosto dove i delfini scartati vengono massacrati e venduti come cibo. A Taiji un turista va al museo delle balene, assiste allo spettacolo dei delfini e li mangia. In loco, infatti, si distribuiscono tranci di cetaceo. In Italia la caccia del
delfino è proibita, insieme al suo consumo. In passato veniva mangiato in Liguria e in Sardegna, con un piatto tipico chiamato musciamme.
A mostrare in dettaglio la pratica disumana che indisturbatamente si rinnova ogni anno c'è il film statunitense The Cove, girato in segreto nella baia e diretto da Louie Psihoyos. Il 7 marzo 2010 il video ha vinto l'Oscar come miglior documentario. In Giappone è stato censurato.
Qui altre testimonianze fotografiche e la storia della battaglia condotta da Sea Shepherd.
The Cove, il trailer
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