di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it
Ai confini del mondo ci sono realtà a cui non sempre viene
concessa la parola. La guerra fa notizia, ma si tratta di attimi. Poi tutto
torna a tacere. In quei luoghi, nuvole di fumo nero uccidono i colori del cielo.
Accade ogni giorno. Solo macerie, distruzione, morte. Il rumore dei colpi di
arma da fuoco copre il silenzio della desolazione, unica sopravvissuta alla
guerra spietata dell’uomo contro l’uomo. La ragione è stata spazzata via dai
kalashnikov, puntati verso una speranza ormai agonizzante. Perché le guerre
sono tutte uguali.
Oltre agli spari, in quelle strade fantasma si odono le urla
della sofferenza umana. Solo chi ha sentito e visto, solo chi ha sperimentato
sulla propria pelle può raccontare. Ma i confini del mondo fanno paura e la
verità non è libera. Dietro le guerriglie vive il dolore e muore l’uomo. Di
questo si parla poco o non si parla affatto.
Nel 1993 Giorgio Fornoni entra clandestinamente in Angola
per incontrare Jonas Savimbi, guerrigliero e politico del partito
indipendentista UNITA. Il reporter lombardo, durante la registrazione di un
video-documentario, dichiara: «Siamo i primi giornalisti occidentali a
registrare le sue parole dopo la ripresa delle ostilità, ad ascoltare una
versione dei fatti che capovolge l’informazione distorta e tendenziosa delle
fonti cosiddette ufficiali».
Testardo e curioso, Fornoni insegue la verità nelle aree
calde del pianeta, dove l’anima si nutre di conflitti e i bambini, loro
malgrado, imparano a giocare con le armi. Documenta tutto con filmati e
fotografie, ascoltando la voce di chi combatte ogni giorno un’altra guerra,
quella contro la sofferenza.
Fra i suoi appunti di viaggio ci sono l’Afghanistan, la Cambogia devastata dai
khmer rossi, la Liberia,
la Cecenia,
il Congo. Russia, Siberia, Africa, Asia, Pakistan, Iran, Kazakistan, Stati
Uniti, Centro e Sud America rappresentano sono alcune tappe del suo lungo itinerario.
Ma la situazione più «scioccante» Fornoni l’ha vissuta in Texas, davanti
all’esecuzione di un condannato a morte attraverso iniezione letale. Quegli
ultimi spasmi non potranno più essere dimenticati.
Giorgio Fornoni ha raccolto in un libro dal titolo «Ai
confini del mondo» le inchieste e le testimonianze frutto dei suoi viaggi.
E a chi gli chiede informazioni su una passione diventata
professione, egli risponde: «Fare il reporter… non è che lo inventi sul
momento. C’è tutta una storia che devi maturare in te. Alcuni decenni fa,
conoscendo i missionari e seguendo le loro peripezie, ho scoperto situazioni di
grande rilievo umano e questa è la cosa che sempre più mi ha appassionato,
conducendomi quasi per mano all’uomo, a quell’uomo che vive ai margini e nella
sofferenza. Questa cosa, quando ti prende e ti appassiona, non riesci più a
mollarla. Tu vedi l’uomo che soffre, non puoi tornare a casa e dimenticarti di
quella sofferenza».
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