mercoledì 23 gennaio 2013

Viaggio nel tempo, dall'Argentina una fotografia «italiana» del 1926


La testimonianza di Maria Rosa Infante

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it


Parole in viaggio. Quando la fotografia può smuovere i ricordi, riportandoli indietro, sulle acque dell’oceano Atlantico. Guardo l’immagine in bianco e nero, sembra aver attraversato un’intera vita. Lo ha fatto davvero. È stata scattate nel 1926, prima che i componenti partissero per l’Argentina. Quante storie può racchiudere uno scatto! Quanti legami può ricucire, tessendo e incrociando i fili del tempo e dello spazio!

Maria Rosa Infante
Maria Rosa Infante non era ancora nata. Eppure è lei che racconta. Dall’Argentina. E il nastro del passato si riavvolge… sua madre (la prima a sinistra) si stava affacciando alla finestra del mondo senza conoscerne il futuro. Aveva quindici anni quando la portarono fra le pampas argentine. Il padre, Ottavio Concistoro Di Iulio, era partito qualche anno prima dall’Abruzzo per inseguire il sogno americano. La terra promessa. Faceva il calzolaio e lasciò la famiglia a Casacanditella, in provincia di Chieti, per cercare lavoro altrove. Lotta per la sopravvivenza che spesso richiede di sacrificare gli affetti. 

Non fu semplice allontanarsi dalle montagne italiane per imbarcarsi verso l’ignoto. Inizialmente Filadelfia, negli Stati Uniti. Poi il ritorno in Abruzzo. E la decisione di andare a Firmat (Santa Fe), in Argentina. Prima di ripartire, Ottavio volle portare con sé la fotografia che mi ritrovo fra le mani. E il figlio maggiore, il primo a destra.

«Mia nonna Maria Malandra (al centro dell’immagine, ndr) era incinta del più piccolo», racconta Maria Rosa. «Dopo circa dieci anni, nel 1938, tutta la famiglia si trasferì». Partirono da Genova sul Conte Grande. Alla volta di Buenos Aires. In terza classe. Madre, tre figlie di quindici, diciassette e diciotto anni, due maschi più piccoli. Le tre adolescenti italiane non passavano inosservate a bordo. Attiravano gli sguardi dei giovani di prima e di seconda classe, oltre a quelli dei marinai. Tanto da meritarsi l’appellativo di «stelle marine», dato loro dal capitano. Delicatamente femminili, non sapevano di avere tanti corteggiatori. Sognavano il futuro, disperdendo i loro pensieri nel vento. Mentre si affacciavano al balcone della vita. Sulle acque del mare.

«Ogni volta che guardo l’immagine, penso a quanti sacrifici, all’oceano di distanza… immagino i cuori a pezzi quando si poteva rimanere in contatto solamente con una lettera!». Maria Rosa ha rincontrato la sua terra natale attraverso una fotografia e una ricetta pubblicate su Paesaggi d’Abruzzo. I cagionetti sono stati motivo di lacrime perché lei non ricordava questa bontà, che la madre preparava quando ero piccola. «Un viaje a mi infancia, a la modesta pero cálida e increíble cocina de mi madre. Per un attimo ho avuto la mamma con me! Presto cercherò di farli».

Non importa quanta distanza separi le persone. Come scriveva Antonio Tabucchi, «un luogo non è mai solo “quel” luogo. Quel luogo siamo un po’ anche noi. In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati». Scoprendolo. O, anche, ritrovandolo.

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