Il mare di Leuca © Tilde Pomes |
C'è un punto dei fondali in cui - sostiene
Uccio - essi trovano un modo per uscire dall'«incorporamento materiale», cioè -
mi spiega - vogliono conoscere se stessi. «Questo posto ha un'anima, signo'.
Ogni cosa nel creato sta al posto suo, signo'. Il sole nasce quando deve nascere
e così la luna... hai visto che organizzazione? Ma bisogna uscire dallo stato
condizionato dalla vita... Gli uomini che ci comandano, i politici - con una
parola ve lo posso dire! - devono mettersi la mano sulla coscienza. Almeno
quelli che ancora ce l'hanno uno stozzo di coscienza, e per me so' pochi...
però loro se ne vengono ancora qua con i loro yacht - e non so da dove li prendono i soldi - con le femmine nude e il
Diavolo batte pure le mani e balla. Altro che pizzica pizzica! Tutti i quaranta
metri di grotta occupano, signo'».
Il mare di Leuca © Tilde Pomes
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Sorrido e annoto. Non solo l'aria sento più sottile qui, anche la mente. Evitando
una costruzione - un autentico pugno
nello stomaco! - risalgo percorrendo i
viottoli che portano verso la strada. Si smarriscono in un cocktail multiforme
di terra color zafferano, che si insinua tra il grigio ardesia e la rena
finissima di un bianco antico mai visto. Mi rimetto in auto. Altre insenature e
ancora altro mare, che occhieggia tra le pale di fichi d'india, di alberi di
fichi e cespugli di rosmarino.
Mi fermo al Ponte del Ciolo. Mi inebrio anche
del cielo sublime, carta azzurra sconfinata in cui nuvole torreggianti di un
bianco accecante ammiccano alle creste delle onde. È una sinfonia in bianco
spumoso, che si rivela allenata a sovrastare mulinelli e guizzate, che un
guerreggiante temporale estivo all'improvviso fonde in un misterico
grigio-viola. Il cielo si apre in fulminee scudisciate vermiglie, e lo sento
giusto, tanto da ammirare la conseguente copula assordante con la Terra. L’uno
fruga febbrilmente nell’altra, finché entrambi, nel delirio, assumono un colorito
bronzeo con lumeggiature bianche; e, per lo scroscio tumultuoso, vedo le prime
fitte di pioggia fendere la sabbia dorata e farne guazzabuglio argenteo di
bollicine.
Mentre sento il profumo, penetro il miracolo: nasce dall'acqua, ora cerulea, la fascia dei colori che si inarca e che li contiene tutti, quelli di questa terra, in una combinazione che in nessun luogo del mondo dicono esista. L'arcobaleno si adagia laddove finisce la terra. Si colora il faro di Santa Maria de finibus terrae. Vibrazioni azzurre e verdi, rosse e gialle, non più groggy, che si liberano in forme sbalorditive. Immagino che, combinandosi, vestano all'unisono tutte le forme della vita nel loro sprofondo di luce: nella Casa Rossa di Noha visitata lo scorso anno grazie ad Antonio Pepe, che combatteva per farne anche luogo di incontri letterari; nei giardini della villa Meridiana, che un regista avrebbe scelto come location del suo ultimo film e che non rivelo; nei vitigni disubriacati da mani esperte che sono farfalle; nelle chiome cerulee degli ulivi secolari, il cui frutto è occhio brillante dalle innumerevoli possibilità.
La gargantuesca sollecitudine del massaro diventa oro colato in un antico frantoio, che lavora come una dentatura macchiata dal tempo, ma forte, energica. I proprietari si vantano di tenere i loro agriturismi di un bianco di calce che è pura luce. Luce che si attenua all'ombra di tende svolazzanti, mentre il giallo del caldo danza e rimbalza sulla pietra leccese o sulla terra rossa, tra melodie metalliche di cicale al sole, nascoste tra fichi verde muschio e neri. Qui tutto rilascia energia creatrice. E non si conosce la solitudine dell'anima perché i Salentini sanno rendere familiare in un senso nuovo il loro mondo che vai a conoscere: in un modo immutato. Uccio lo ha sottolineato.
Il mare di Leuca © Tilde Pomes |
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