Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
Camminare con il respiro della natura che vibra nell’aria. La mia guida è il suono fresco dell’acqua, che
zampilla e scorre in questo sperduto angolo di paradiso. Bussola
infallibile, la melodia dei ruscelli di montagna. Il sole abbraccia il cielo,
completamente nudo. Le nuvole si sono date appuntamento altrove. Vestiranno
altri luoghi per oggi.
Cerco il bosco di Stilo (RC).
Trovo le cascate del Marmarico. Un incontro insolito. Casuale. Piacevolmente
inaspettato. In un’isola fatta di faggi, castagni, lecci e abeti bianchi. «Rincorri
il corso del fiume Stilaro», mi dicono. Senza scarpe da trekking, solamente con un
paio di sandali, mi avventuro fra sentieri dispersi in questa immensa vallata,
tappeto verde ai piedi del Monte Consolino. C’è da salire per otto chilometri. Dopo due ore di cammino
potrò ammirare un meraviglioso ricamo fatto di rocce, piante e acqua, alto
circa 114 metri.
È il Comune di Bivongi,
suggestivo e caratteristico paesino della provincia di Reggio Calabria, ad accogliere
le cascate del Marmarico.
Cercare e poi perdersi. Sotto il
sole cocente di agosto. Con un taccuino su cui annotare sensazioni rare. Perché
vedere il cielo così da vicino, vederlo specchiarsi in un spicchio d’acqua
quasi inviolata, è un’esperienza unica. Gioco di parole che nasconde giochi di
emozioni. La strada è tutta in salita. Un paesaggio senza fondo fiancheggia i
pochi sentieri ombreggiati. La
Calabria è sorprendente. È
ciò che non ti aspetti. La tranquillità cristallina del mare. L’impeto di una
natura ancora selvaggia.
Le cascate del Marmarico si gettano
a capofitto fra le braccia del laghetto sottostante, superando un dislivello di novanta metri.
Tre salti nel vuoto. Decisi. Determinati. Il loro nome significa «pesante» perché l’acqua dà l’impressione di rimanere immobile pur scorrendo
continuamente e a grande velocità.
Le cascate, incastonate fra il parco nazionale della Sila e quello dell’Aspromonte, ricadono nel parco
naturale regionale delle serre calabresi. Nascono dalla fiumara Stilaro,
originata, a sua volta, dall’unione del fiume Folea e del torrente Ruggiero.
Lo Stilaro, all’imbocco del
sentiero che porta alle cascate, appare quasi asciutto. Tondi massi di granito
ne tappezzano il letto. In salita, si avvertono il canto dell’acqua e il
silenzio dell’uomo. Il mondo è lontano. Quasi inesistente. Sulle stradine di
montagna, segni di frane e crolli dovuti alle forti piogge. Bivongi è stata
sommersa da diversi alluvioni. Nel 1951. Nel 1972. Nel 2009, quando
l’esondazione dello Stilaro ostruì la strada provinciale che conduce a
Monasterace.
Mi fermo presso una sorgente per
bagnarmi i piedi. Due libellule danzano intorno alla mia macchina fotografica.
In lontananza, un serpente attraversa il sentiero. Il fragore dell’acqua si fa
insistentemente forte. Richiamo della natura. Le cascate più alte dell’Appennino
meridionale sono davanti ai miei occhi. In tutta la loro maestosa imponenza.
Trattengo il respiro. Attraverso il ponticello. Mancano ancora otto chilometri per tornare a
valle.
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