Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
giovedì 19 settembre 2013
Montenegro, nel fiordo più grande del Mediterraneo
Non basta una manciata di parole per raccontare il Montenegro. C'è il volto turistico, quello dei taxi e dei taxisti che ascoltano Radionorba, dei lidi affollati di Budva, del pesce fresco servito nei ristoranti in riva al mare. C'è il volto umile della quotidianità, che sale sui bus della Blue Line per portare ai tavoli cedevita, mussels e turkish coffee. L'estate montenegrina indossa scarpe comode, capaci di percorrere una buona dose di chilometri. Soprattutto se il punto di partenza è il fiordo più grande del Mediterraneo, Kotor Bay, conosciuta anche come Bocche di Cattaro.
Le montagne costellate di monasteri medievali si specchiano nell'acqua, tavola dalle sfumature oceaniche. E un fascio di luce squarcia il silenzio assonnato di Muo, abbracciato alla bellaPrčanj e affacciato sul terrazzino dello stupore. È
il paese delle barchette arenate e dei pescatori, lupi di mare intenti a sistemare le reti per la cena dei turisti. Le spiagge sono piccole, quasi invisibili. Angoli di natura ombreggiati da qualche pino selvatico, nato sui ciottoli al posto degli ombrelloni.
Bisogna avventurarsi a piedi per scoprirli.
I pullman fanno la spola tra le diverse località della baia. Basta un euro e da Muo, in cinque minuti, si arriva a Kotor, la piccola Venezia patrimonio dell'Unesco. L'infopoint all'ingresso della città vecchia, accanto al bazar delle sorprese caserecce, informa che in serata sfilano i carri di Carnevale. 4 agosto. I cattarini girano in maschera, rinsaldando il legame con la vecchia Repubblica Veneta a cui, in passato, la zona appartenne. Qui l'italiano è la lingua più parlata dopo il serbo, anche se di italiani non si vede neppure l'ombra.
La cinta muraria percorsa dai visitatori accende luci di mare che lasciano senza fiato, sovrastando chiese cattoliche ed ortodosse. La notte del fiordo tace. Le insenature invase dall'Adriatico ascoltano le note del silenzio. Un battello partito da Tivat fotografa i paesaggi addormentati e tocca il corpo di Herceg Novi. I market sono ancora aperti. Vendono feta, insalata e gli ultimi tozzi di pane.
Per attraversare i paesini delle Bocche, barattiamo il bus con le biciclette noleggiate in un lido di Kotor. Cartina alla mano, non è difficile seguire la linea sinuosa della costa. I chilometri aumentano, come le ore segnate dalle lancette dell'orologio. Partenza alle 10, rientro alle 21, pedalata di circa quaranta chilometri. Il sole brucia e invita a sostare in paradisi diversi, ma tutti vicini. Dobrota, Ljuta, Orahovac, Drazin Vrt, Perast. Di fronte a quest'ultima cittadina, le isole di San Giorgio e dello Scalpello si denudano per mostrare il loro volto sacro. Ospitano un'abbazia benedettina del XII secolo circondata da cipressi ed il seicentesco santuario della Madonna dello Scalpello.
La strada è un tappeto d'asfalto e le auto sfrecciano accanto alle biciclette a settanta chilometri orari. Superiamo Risan, il centro più antico del fiordo, scrigno di edifici e di mosaici romani. Proseguiamo per Lipci, fermandoci a Morinj per mangiare un po' di frutta. Ultima sosta prima del rientro a Muo. L'acqua, nella spiaggetta del borgo, è ghiacciata. E incanta per i colori, che si confondono con quelli del cielo. Il sole tramonta sulla baia, mentre le gambe reclamano pietà. Gli occhi hanno visto tutto, ma vogliono vedere ancora.
Budva è la tappa successiva. Quasi un'ora di pullman, preso al volo in mattinata dalla Bus station di Kotor. Letti a due piazze, con tanto di capannella proteggisole, fanno da sdraio in riva al mare. Qui gli italiani abbondano. Qualcuno propone in spiaggia un giro in battellino con vista sulla ricca - e privata - Sveti Stefan. E sosta nella cristallina isola di San Nicola, faro di terra sulla riviera montenegrina. Difficile non entrare in acqua, uno specchio lucido che sa di rustico mirto, la pianta del posto.
In Montenegro si impara presto a dire hvala. È
il grazie che sta scomparendo dal vocabolario della lingua italiana. Lo senti
pronunciare nei bar, nei market, nei negozi di souvenir. Anche se non
acquisti nulla. E continui a ripetere questa parola dopo otto ore di
traghetto, quando da Bar sbarchi a Bari, in Puglia. Si tratta di un rientro consapevole. Al di là dell'Adriatico c'è una terra che non sa offrire solamente paesaggi, ma anche e soprattutto umanità.
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