lunedì 15 settembre 2014

GiroDiVita

Intervista all'autore, Alessio Rega

di Anna Maria Colonna
terrenomadi@gmail.com
Alessio Rega
È nato a Bari trent’anni fa in una calda mattina di estate. Alessio Rega, giornalista alla sua prima prova narrativa, si racconta a Terre Nomadi

Gabriele passeggia tra le pagine di GiroDiVita tracciando la storia del romanzo. È un diciottenne barese che baratta il capoluogo pugliese con Milano. Vuole lasciarsi alle spalle diverse delusioni e il difficile rapporto con la madre. Un viaggio che diventa fuga e poi ritorno. Un allontanamento dal presente che costringe a fare i conti con il passato, pronto a irrompere in qualsiasi momento per minare certezze e fragili sicurezze.


Alessio, come è nata la tua penna «giornalistica»?
Nel 2009 mi sono laureato in scienze della comunicazione sociale, istituzionale e politica all’Università di Bari e pochi mesi dopo sono stato assunto in pianta stabile nella redazione di NelMese, una storica rivista barese con la quale collaboravo già da alcuni anni e nella quale ho mosso i primi passi verso il mondo del giornalismo. I miei maestri sono stati Nicola Bellomo e Michele Cristallo, storiche penne de La Gazzetta del Mezzogiorno. A gennaio di quest’anno, purtroppo, a causa della crisi economica, dopo ben 47 anni di attività editoriale, NelMese ha sospeso le pubblicazioni. Ma io non mi sono dato per vinto e con l’agenzia di comunicazione con la quale lavoro, la Rekla Adv, in autunno spero di poterlo rilanciare con la formula del free press, con una nuova impostazione editoriale e con una grafica moderna e innovativa.


Dall'album dei calciatori alla lettura di Andrea De Carlo, dalla laurea in comunicazione istituzionale al giornalismo. Interessi eterogenei che indicano una ricerca continua e una curiosità insaziabile. Che cosa cerchi?
Come per la maggior parte dei bambini, il mio sogno era quello di diventare un calciatore. Poi, però, gli interessi sono aumentati, diversificandosi. Ho scoperto con piacere la letteratura e sono rimasto affascinato dalla sua capacità di farmi viaggiare senza muovermi. Durante gli anni del liceo, infatti, divoravo ogni sorta di libro, ero curioso di scoprire le dinamiche umane attraverso diverse prospettive e punti di vista. Era una ricerca continua, la mia. Non si è mai arrestata, prosegue ancora adesso e credo che non finirà mai perché la vita è un fluire incessante, con un senso spesso inafferrabile. Ci sono domande che restano in sospeso per sempre, che aprono nuovi interrogativi.

Ad un certo punto della tua ricerca, è «nato» un romanzo, GiroDiVita... gestazione lunga e difficile?
Il primo germoglio di questo romanzo è spuntato alla fine del liceo. All’inizio si trattava solamente di pensieri sparsi, confusi, senza un ordine apparente. Poi, quasi per magia, piano piano le idee hanno incominciato a prendere una forma più precisa, si è iniziata a delineare una storia, sono nati i primi personaggi. Ma non era ancora tempo. E così quegli appunti sono rimasti in un limbo, sono finiti in un cassetto. Intanto la vita mi portava verso un’altra direzione. Tre anni fa, però, ho sentito che il momento giusto era arrivato, che quella storia doveva essere lasciata libera di diventare autonoma, di vivere di vita propria. La gestazione non è stata facile. In alcuni momenti la pagina bianca diventava un fantasma difficile da affrontare. Ne ricordo altri in cui avevo voglia di strappare tutto e di mettermi l’anima in pace. Ma ho tenuto duro e alla fine è nato GiroDiVita.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai incontrato nella scrittura di GiroDiVita?
Senz'altro la difficoltà di mettermi a nudo. La scrittura ha anche una sorta di funzione terapeutica. Mi sono dovuto confrontare con quello che sono e con quello che sono stato, ma anche con le aspettative future. Cosa che richiede un grande sforzo perché a noi stessi non si può mentire.

Nei tuoi personaggi quanto c'è di te?
Essendo il mio primo romanzo, è inevitabile che ci sia molto di me. Non si tratta ovviamente del racconto della mia vita, non sarebbe interessato a nessuno. Ho attinto dalla mia esperienza personale per cercare di raccontare una storia quanto più universale possibile, in cui chiunque, in un modo o nell’altro, possa riconoscersi. In ogni personaggio c’è comunque un po’ di me, da un tratto del mio carattere a una caratteristica fisica.

Gabriele lascia Bari per andare a Milano. Hai mai avuto voglia di lasciare tutto e di partire? Che cosa pensi della tua città?
Amo molto viaggiare, allontanarmi dalla routine quotidiana anche solo per alcuni giorni. Ma non ho mai pensato a un cambiamento radicale, nonostante le tante difficoltà che ci sono in una città come Bari. In determinati contesti lavorativi, tra cui anche quello del giornalismo, valgono ancora logiche nepotistiche o clientelari che poco hanno a che vedere con il merito e la qualità professionale, tranne in rari casi. Da un punto di vista urbanistico, Bari è una città che mi piace molto, ha degli scorci davvero incantevoli, da far invidia alle più belle città del mondo. Purtroppo, però, soffre di tutti i limiti, dei mali propri di una città italiana e, ancor di più, meridionale. Ci sono tante potenzialità che non sono sfruttate nel modo giusto, tante risorse che non vengono valorizzate come si dovrebbe. Ciò che, invece, mi piace meno, talvolta, sono i baresi e i loro modi di fare, soprattutto quelli di una certa borghesia un po’ arrogante, che riempie i salotti buoni della città e vive di sorrisi finti e compiacenti.

Viaggio come fuga o viaggio come riconquista di una vita in bilico tra passato, presente e futuro?
Sicuramente entrambe le cose. Spesso si decide di partire per allontanarsi da una situazione in cui non stiamo più bene. In questo senso il viaggio diventa ricerca di un nuovo equilibrio, di un nuovo modo di intenderci nel mondo e di fare i conti con quello che siamo. La vita stessa è inevitabilmente un viaggio, un percorso dal quale non possiamo sottrarci.

Le opportunità di Gabriele fanno sempre i conti con il passato. Perché un personaggio dalle fragili certezze?
Ciò che siamo nel presente non è altro che il risultato di ciò che siamo stati nel passato, delle esperienze vissute, degli incontri fatti. È impossibile prescindere da questo bagaglio, con il quale spesso dobbiamo fare i conti. E non è detto che siano per forza negativi. Gabriele è un personaggio molto complesso, dalle mille sfaccettature, alla costante ricerca di risposte. È un ragazzo con una sensibilità molto accentuata, che non si accontenta mai. Tutto questo lo rende instabile, a volte insicuro. Allo stesso tempo, paradossalmente, la fragilità diventa forza. Credo, infatti, che solo chi abbia il coraggio di guardarsi dentro e di accettarsi sia capace di grandi cose e di andare oltre una triste, ma rassicurante, mediocrità.

Il personaggio a cui ti senti più legato?
Non c’è un personaggio a cui mi sento più legato. Ma se proprio devo fare una scelta, dico Giulio, lo storico amico di Gabriele. Il loro rapporto mi riporta alla mia esperienza personale. Per me l’amicizia è un valore fondamentale. Credo che esistano dei legami talmente profondi da non avere bisogno di continue conferme.  

Come definiresti il tuo rapporto con la scrittura?
Sin da quando ero ragazzo, la scrittura è stata un modo per esprimere me stesso, i miei pensieri. Durante gli anni della scuola ero molto timido e introverso e soltanto attraverso le parole riuscivo a comunicare realmente quello che pensavo. GiroDiVita, di conseguenza, è nato perché avevo voglia di dire qualcosa, di lanciare dei messaggi sperando che qualcun altro potesse condividerli. Quando la gente mi definisce uno scrittore, sorrido. Non penso ancora di esserlo, credo che la strada sia ancora molto lunga. Però sono sicuro di aver scritto un buon libro, che si lascia leggere con facilità. Odio la falsa modestia.

Un tuo racconto rientra nel progetto di Lutto Libero. Di che cosa si tratta?
Lutto Libero è un ebook, una raccolta di racconti alla quale ho partecipato, insieme ad altri otto autori, con Assenza, un brano che parla della fine di un amore. Il tema dell'ebook è il lutto, coniugato in tutte le sue forme: la morte fisica, un lavoro lasciato, un treno perso, l'ultimo accordo di una canzone, una partita mai giocata. Il tutto è nato da un'idea di Cristiano Carriero e Alessandro Piemontese, due copy pugliesi che nella scrittura hanno individuato uno strumento per elaborare i propri lutti personali e liberarsene. Perchè, in fondo, l'unico modo di rimandare la morte è raccontare la vita.


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