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Spesso le ultime pagine di un libro rappresentano il saluto prima della partenza. Si torna indietro con sensazioni ed emozioni impresse sulla pelle, quasi siano state vissute in maniera diretta. Il distacco diventa nostalgia per una storia condivisa, fatta di incontri mai avvenuti, ma realmente assaporati da chi ne ha scritto. Le parole scorrono come treni su rotaie che attraversano il mondo. L’odore della carta stampata si mescola con i profumi ed i sapori di paesi sconosciuti, scrigni di immagini da rapire con l’inchiostro. Le prime pagine sono il biglietto aereo di ogni lettore. Un viaggio che ha nell’ignoto il suo fascino più grande perché è nell’ignoto che nasce la curiosità di osservare, di capire e di scoprire. Nessun lettore sa come andrà a finire la storia, ma se ne appassiona facendola propria. E quando arriva alla fine, sente che quella storia gli mancherà perché l’ha vissuta fino in fondo. Grazie all’autore.
Un paese estraneo, difficile, può diventare familiare non
solamente a chi lo visita, ma anche a chi lo legge. Durante l’estate del 2008, Barbara
Nepitelli e Cesarina Trillini si mettono in viaggio verso l’Iran. Barbara
raggiunge Cesarina una settimana dopo. L’esperienza delle due giornaliste
parlamentari, lunga circa settemila chilometri, è la testimonianza di come un
territorio assuma nuova luce agli occhi di chi lo vive in prima persona. Per
conoscere occorre guardare e ascoltare. Le due donne notano subito la
disponibilità e l’ospitalità della gente del posto. Frequenti gli incontri con
quelli che chiamano «angeli custodi», persone pronte ad aiutarle nei diversi
itinerari senza chiedere nulla in cambio.
Prima tappa del percorso, durato circa un mese ed affrontato per lo più su mezzi pubblici come autobus e taxi collettivi, è Teheran. Città del traffico, del bazar, del palazzo del Golestan, di piazza Khomeini e Azadì. Sarà l’ultima «fermata» prima del ritorno in Italia. Barbara e Cesarina, come tutte le altre donne iraniane, indossano il velo. Dopo Teheran è la volta di Quazvin, base di partenza per la leggendaria Valle degli Assassini, sulle orme di Freya Madeleine Stark e fra strade che si perdono nelle montagne. Poi il curioso bazar di Kashan, dove il pane si cuoce su sassolini che rimangono attaccati alla crosta. Qui è famosa l’acqua di rose, da bere ghiacciata, da usare in cucina e per l’igiene personale. Rose che adornano anche gli scialli delle donne del villaggio di Abyaneh. Rose simbolo di Shiraz, la città dei poeti.
Tra le difficoltà incontrate durante il viaggio, la barriera della lingua, superata dal linguaggio dei gesti e dei sorrisi, accompagnato da qualche rara parola in farsi. Ne Le rose e il chador, le due giornaliste raccontano la loro esperienza, cercando di indovinare i segreti di quella terra attraverso le espressioni di uomini e donne del posto. Un mondo ancora rigorosamente diviso fra maschile e femminile. Dove un ragazzo ed una ragazza che si piacciono possono comunicare solo attraverso messaggi scambiati con il telefonino.
Prima tappa del percorso, durato circa un mese ed affrontato per lo più su mezzi pubblici come autobus e taxi collettivi, è Teheran. Città del traffico, del bazar, del palazzo del Golestan, di piazza Khomeini e Azadì. Sarà l’ultima «fermata» prima del ritorno in Italia. Barbara e Cesarina, come tutte le altre donne iraniane, indossano il velo. Dopo Teheran è la volta di Quazvin, base di partenza per la leggendaria Valle degli Assassini, sulle orme di Freya Madeleine Stark e fra strade che si perdono nelle montagne. Poi il curioso bazar di Kashan, dove il pane si cuoce su sassolini che rimangono attaccati alla crosta. Qui è famosa l’acqua di rose, da bere ghiacciata, da usare in cucina e per l’igiene personale. Rose che adornano anche gli scialli delle donne del villaggio di Abyaneh. Rose simbolo di Shiraz, la città dei poeti.
Tra le difficoltà incontrate durante il viaggio, la barriera della lingua, superata dal linguaggio dei gesti e dei sorrisi, accompagnato da qualche rara parola in farsi. Ne Le rose e il chador, le due giornaliste raccontano la loro esperienza, cercando di indovinare i segreti di quella terra attraverso le espressioni di uomini e donne del posto. Un mondo ancora rigorosamente diviso fra maschile e femminile. Dove un ragazzo ed una ragazza che si piacciono possono comunicare solo attraverso messaggi scambiati con il telefonino.
Nelle pagine del libro quasi si avvertono i passi delle due
scrittrici fra le strade di Esfahan, dove c’è la palestra segreta delle donne,
bisognose di confessare al medico la difficoltà di conciliare i due volti della
quotidianità iraniana, il dentro e il fuori. E sembra quasi di sentire il
profumo del fesenjun, un piatto tipico fatto di salsa di noci e succo di
melograno con piccole polpette di carne. Il tutto accompagnato naturalmente dal
riso, immancabile, come il tè, sulle tavole del posto. L’inquietudine suscitata
da Yazd, la città dal doppio volto, dove le due giornaliste scoprono che gli
uomini non possono portare la cravatta perché simbolo dello stile di vita
occidentale.
Sono solo alcuni dei tanti particolari racchiusi nel libro, pubblicato, insieme a trentadue scatti fotografici, a conclusione di un viaggio, ma non di un’esperienza. Questa, come affermano le autrici, sarebbe continuata nei contatti e nella scrittura.
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