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Ci sono libri
che lasciano in bocca il sapore agrodolce di un’esperienza vissuta. Prima ti
sfiorano, rivelando sottovoce che qualcosa appartiene anche a te. Poi la
sensazione diventa certezza e cede il posto all’incredulità. Ricordi ed emozioni
si riversano improvvisamente su fogli di carta sconosciuti, come se la penna
avesse ascoltato la voce dell’interiorità per scriverne. Mi trovavo in treno quando ho
aperto per la prima volta il libro di Maria Pia Romano, «La cura dell’attesa». Un
dono ricevuto pochi minuti prima della partenza.
Il gesto con
cui disegnava i grafici alla lavagna era perfetto.
La storia di
Alba mi ha rapito sin dal primo istante. Non sono più riuscita a smettere di
leggere per tutta la durata del viaggio. Cinque ore ed una pagina dopo l’altra.
Le parole si lasciano inseguire e, a loro volta, inseguono le solitudini della
protagonista, un ingegnere capace di insegnare ai suoi studenti il meccanismo
dei motori attraverso il tracciato di curve impeccabili.
Alba ha «il fascino ingenuo della bellezza non consapevole di se stessa». Finge «sicurezza, mascherando i vuoti con una durezza che prende il volto asciutto di formule matematiche». La sua ricerca della felicità passa per la costruzione attenta della realizzazione personale. Mattone dopo mattone. Il coraggio e la determinazione di questa donna poggiano sulle fragili basi di un amore cercato, inseguito, desiderato e mai dimenticato. Insostituibile.
L’immagine di
Davide è legata al mare, ai libri, alla poesia. E ad un poeta, in particolare, Vittorio Bodini.
Accadeva che
Alba pensasse ancora a lui, mentre guardava il mare. Lo scacciava, come si fa
con i pensieri importuni, ma lui tornava sempre da lei, come onda che si
infrange sulla battigia. S’insinuava lento, come un fantasma del passato che
non sa rassegnarsi a cedere il passo alla felicità del presente.
Il presente si
chiama Filippo, un laureando in ingegneria che rappresenta per la donna il
rifugio rassicurante. Riparo dalle tempeste e dai vuoti incolmabili lasciati da
Davide. Filippo è «curioso, oscenamente curioso», ed ha lo «sguardo di un uomo
che sa mettersi in discussione». Ma la gratitudine non può essere amore. Filippo non ha gli occhi di mare
di Davide, che scompare e riappare nella vita di Alba strappandole i suoi sogni
di carta. E ravvivando una passione che resta sempre accesa.
L’aveva accarezzata con un verso, una volta: la «seduzione più pericolosa che lei avesse potuto immaginare». Ma in lui il piacere convive da sempre con la capacità di sapersene distaccare. Perciò non si è mai legato ad una donna. Così ha fatto con Alba. Ma questa volta la situazione assume contorni diversi. Per Davide «il tempo non cancella la verità degli istanti incisi dentro». E Alba rappresenta per lui il «futuro che vivrà senza toccare». Perché la sua pelle porta il nome della donna a cui rimarrà legato per sempre. Indissolubilmente.
È una storia
imperfetta soltanto agli occhi del mondo. Lascia ad Alba le curve dolci di una
nuova vita. Quella donna che dorme da molti anni con una valigia accanto al
letto, pronta a cercare occasioni per partire, si ritrova a vivere nella «cura
dell’attesa».
La scrittura
fluida di Maria Pia Romano traccia i contorni indelebili di una figura femminile che apre la porta alle visite inattese del destino. Lo sfondo è quello pugliese dell’Alta Murgia e del Salento, con gli sconfinati spazi marini dell’Adriatico
e dello Ionio. Il mare è nella vita di Alba e negli occhi dell’uomo che insegue attraverso il segreto dei suoi pensieri. Nei pellegrinaggi dell’anima.
Pur nella distanza del tempo e dello spazio, Davide le chiede non di perdonarlo, ma di
amarlo ancora. Di cercarlo nei sogni più veri. Nel viaggio di un'intera vita.
Colonna sonora: Ennio Morricone, The legend of the pianist on the ocean
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