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Ci sono attimi, durante un viaggio, che rimangono impressi nella mente e sono punti di riferimento per raccontare le emozioni provate. L’istante prima di vedere Guernica, il capolavoro di Picasso, è stato uno di questi.
Esci di casa e c’è Madrid lì di fronte, più lenta del
solito, avvolta da un calore che ovatta ogni movimento. Giri l’angolo e lo
sguardo di una ragazza vestita d’arancio ti blocca per un istante. A volte
accadono queste connessioni istantanee: pensi che sarà la prima e l’ultima
volta che vedrai quegli occhi in vita tua. Ma c’era qualcosa, non sai
spiegarti. Continui a camminare.
Stazione di Atocha © Fabio Castano |
Ti lasci sulla destra la stazione di Atocha, col suo
luccichìo di metallo rosso. E sulla sinistra già vedi gli ascensori esterni del
Museo Reina Sofia. È lì che sei diretto oggi, hai un appuntamento importante.
Ti siedi qualche istante sugli scalini roventi, prima di entrare. Dai un’occhiata ai turisti seduti all’esterno dei locali che circondano la piazza. Hanno boccali d’oro che ingurgitano veloci, facce rosse e sorrisi d’avorio. Vedi un gruppetto di giapponesi che si avvicina all’entrata, tutti con macchina fotografica a tracolla e cappellino da pescatore per proteggersi dal sole. Ti accodi. Porgi lo zaino alla guardia che lo mette sul metal detector. Biglietto. Sei dentro.
Chiedi alcune informazioni, guardi la mappa del museo che è
su quattro piani. Al secondo e al quarto c’è la collezione permanente, sugli
altri installazioni temporanee. Studi gli ambienti monumentali, vai a prendere
l’ascensore per il secondo piano.
Inizi a girare per le stanze, affascinato dalla potenza dell’arte. C’è un silenzio sacro nelle stanze bianche. C’è solo il fruscìo di visioni concentrate e estasiate. Danzi da un quadro all’altro: dai sogni taglienti di Dalì, alle avanguardie spagnole, dall’essenzialità dei tratti di Mirò alle scomposizioni sorprendenti di Picasso.
Pablo Picasso, Guernica © Fabio Castano |
Ti stai avvicinando alla stanza 206, quella in cui
l’attenzione dei visitatori sale di livello. Nello spazio antecedente ci sono
gli studi preparatori. C’è la testa deformata dallo spavento del cavallo
imbizzarrito, il viso del bambino morto tra le braccia della madre, il toro,
l’avambraccio che impugna la spada. La luce sul soffitto, che sembra
fortissima.
Aspetti ancora, fai un giro più lungo. Non sai se quello è
il momento giusto per posarci sopra gli occhi, dal vivo. Forse è quello subito
dopo. Ma sì, buttati. Lo sguardo si muove veloce alla ricerca di dettagli e
simboli. Il bianco intorno sembra esplodere. Anche le due donne della
sicurezza, ai lati della tela, sembrano far parte della composizione col loro
sguardo freddo e severo. Vorresti stare lì, a fissare quel quadro, che è più di
un quadro, una scheggia di infinito, per sempre.
Passa tanto tempo. Stanno già per chiudere, purtroppo. Esci e riprendi l’ascensore. La prospettiva su Madrid si abbassa di colpo. Mentre stai andando giù ti sembra di rivedere la ragazza vestita d’arancio in una strada laterale. Era lei? Ma no, forse no. Scendi le scale e ti immergi di nuovo nella città che non dorme mai.
Colonna sonora: Jovanotti, Fango
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