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Giuseppe Ungaretti |
Vita d’un uomo. Così è stata intitolata l’edizione completa e
definitiva dei suoi versi, pubblicati nel 1969 da Mondadori. Poesia intrisa di
ricordi, fatta a pezzi dal dolore. Urlo straziato e straziante. I versi di Ungaretti
esprimono la sensibilità di un poeta e la pena di un uomo segnato dalla guerra
e dalla morte. Innamorato della
scrittura, l’ha condotta sull’altare del tempo per darla in sposa all’eternità.
Scrittura strappata
al silenzio. Parola sussurrata. Parola che non dice, solo allude. Parola che
attinge alle fonti dell’assoluto per rivelare il senso nascosto delle cose. Ungaretti
traccia sulla pagina ancora bianca della sua storia la poetica dell’attimo. Sentieri ardui,
quelli percorsi dal poeta durante la sua esistenza. L’esperienza della
guerra gli rivela la precarietà della vita.
La morte, prima del
fratello Costantino, poi del figlio Antonietto, strappa all’uomo la sua parte
migliore, quella intima, lacerata. È il suo cuore ad
essere il paese più straziato. L’inquietudine
esistenziale si trasforma in perpetuo girovagare: «In nessuna/parte/di terra/mi
posso/accasare… Cerco un paese/innocente».
La sua vita si fa
essa stessa viaggio.
Giuseppe Ungaretti
nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori lucchesi. Nel 1912 si reca a
Parigi. Nel 1914 giunge in Italia per partecipare alla guerra. Volontario in un
reggimento di fanteria, viene inviato a combattere sul Carso. Alla fine del
conflitto è nuovamente a Parigi. Nel 1921 si trasferisce a Roma. Nel 1933
svolge un giro di conferenze in diversi paesi europei.
Nel 1936 è chiamato
a ricoprire la cattedra di letteratura italiana presso l’Università di San
Paolo in Brasile. Nel 1942 rientra in Italia per insegnare letteratura italiana
contemporanea all’Università di Roma. Muore a Milano nella
notte fra l’1 e il 2 giugno 1970.
Partenze e ritorni.
Ungaretti fugge dai tumulti della sua anima. Parte e scrive. Sempre. Incessantemente. Annota sensazioni, emozioni, impressioni. Affida alla penna
ciò che nemmeno la voce può esprimere. Perché la voce, alle volte, non ha la
ricchezza delle sue note. Inviato speciale
della «Gazzetta del Popolo» di Torino, il poeta, tra il 1931 e il 1934, compie
numerosi viaggi in Egitto, in Olanda, in Corsica e in diverse regioni italiane.
Frutto di questa esperienza sono i suoi articoli, inizialmente raccolti nel
volume intitolato Il povero nella città (1949),
poi ne Il deserto e dopo (1961).
Racconti di viaggio
sconosciuti quanto la stessa attività giornalistica di Ungaretti. Prose
bellissime, liriche, evocative. Esperienze dell’uomo e non del poeta. Proprio
per questo trascurate, dimenticate nell’angolo più nascosto di una polverosa
biblioteca. Eppure è nella
quotidianità dell’uomo che vive il poeta. Le due metà non possono essere
distinte. Distinguere significa rifiutare di conoscere e di comprendere.
Distinguere significa non rispondere ai perché.
Ungaretti era un
uomo, non solo un poeta. Un uomo che nel viaggio cercava di comprendere. Nei
suoi viaggi noi dovremmo cercare di comprendere.
Cilento |
Poi, finalmente, il
mare, incorniciato dai pini della costa e dagli ulivi della campagna
circostante. La vasta distesa azzurra conduce a Velia, la greca Elea. Forte è
il desiderio di raggiungere Palinuro, «uno squalo smisurato» le cui grotte sono
definite «occhi blu».
Non si può non
rimanere affascinati dalla bellezza di tali descrizioni. Noi, uomini girovaghi
nel nostro presente, possiamo ripercorrere i passi del poeta viaggiatore
attraverso il filo della sua scrittura. Poiché nella sua
storia possiamo ritrovare la nostra storia. Quella dell’uomo
perennemente in cammino. Quella dell’uomo. Semplicemente quella
dell’uomo.
Giuseppe Ungaretti, I fiumi
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