Intervista a Maurizio Anselmi, fotografo teramano che cerca
l’uomo con l’obiettivo
annamaria9683@libero.it
Maurizio Anselmi |
Ha immortalato di tutto. Dal food all’abbigliamento, dai
paesaggi ai frigoriferi, dalle calzature ai volti umani. Maurizio Anselmi, 56
anni, nativo di Teramo, si è avvicinato all’arte dell’immagine negli anni del
liceo artistico. «Per compensare - dice ironicamente - doti che non avevo in
disegno».
Ritrattista ed esperto fotografo del settore moda, ha concentrato la sua
passione sulla ricerca antropologica. Continua a ritrarre persone negli
ambienti che quotidianamente vivono. Un vero e proprio viaggio di scoperta di
luoghi, culture e tradizioni differenti. Sin dai suoi scatti in Afghanistan. Terre
Nomadi lo ha intervistato.
Maurizio, la fotografia può dire al pari della scrittura?
Sono linguaggi e strumenti totalmente differenti, utilizzati
entrambi per descrivere e raccontare. Paragono la fotografia ad una penna, ad
una macchina da scrivere o ad un computer. La funzione cambia in base al modo
con cui la si usa. Può comunicare, creare, emozionare.
Maurizio Anselmi |
Attualmente vivi in Abruzzo. È nata tra i paesaggi montani
la tua passione per la fotografia?
Non proprio. Per dieci anni mi sono spostato tra Roma,
Milano e Bologna. In quest’ultima città ho conseguito il diploma Dams con una
tesi sull’uso della fotografia nella ricerca antropologica. Già da allora la
fotografia viaggiava con me. Pensavo - e penso ancora - al suo linguaggio come ad
un mezzo per conoscere altre culture e mondi inesplorati.
I soggetti diventano paesaggi. Quali sono i tuoi soggetti e,
dunque, i tuoi paesaggi prediletti?
Negli ultimi dieci anni mi sono riavvicinato molto alla mia
terra. Ho collaborato con il Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga,
diventandone il fotografo ufficiale. Avevo la possibilità di spostarmi in un’area
protetta e fortemente antropizzata, con una costante presenza umana, fatta di
pastori, di contadini, di imprenditori del settore della lana. Ho accolto e
raccolto un grosso bagaglio di conoscenze sull’Abruzzo e anche un consistente
archivio fotografico. Da questa esperienza è nata l’esigenza di approfondire un
po’ di più il territorio, non tanto come cartolina, ma come paesaggio vissuto. Ho
concentrato l’attenzione più sulle persone che sui panorami. In fondo, persone
e territorio non vanno mai separati. Si è fatta insistente l’idea di
fotografarle nel loro ambiente. Ad esempio i pastori accanto agli armenti, nei
paesaggi che quotidianamente vivono.
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L’emozione della fotografia racchiude un po’ l’emozione del
viaggio...
Direi che un fotografo è anche un viaggiatore ed io ho girovagato
tanto. A 19 anni sono stato in Afghanistan. Partii da Teramo nella seconda metà
degli anni Settanta. Attraversai tutta la Turchia e l’Iran. Volevo arrivare in
India, poi tornai indietro perché i tempi previsti si erano allungati. Portai
con me la mia prima macchina fotografica e immortalai situazione che, riviste
oggi, sembrano davvero assurde. Ragazze in giro per Kabul con la minigonna, uffici
delle compagnie aeree pieni di donne che lavoravano. Mi sono spostato anche da
piccolo perché i miei genitori viaggiavano molto. Ancora oggi, quando posso,
cerco di partire.
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Il paesaggio che non smetteresti mai di fotografare?
Non ce n’è uno. Ogni paesaggio ha la sua importanza e trasmette
conoscenza. Il paesaggio in quanto tale mi può interessare dal punto di vista
estetico, poi basta. Una bella cartolina, anche tecnicamente perfetta, dà emozione
visiva, ma non si può andare oltre. E sottolineo che, secondo me, invece, il
paesaggio deve essere fotografato con le persone.
Ritratti umani legati a storie particolari o a curiosità?
Ce ne sono tantissimi. Il ritratto è una delle componenti
che amo di più. Mi permette di entrare in contatto con la gente perché c’è
un’interazione, anche se di pochi minuti.
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L'Hasselblad Bulletin, rivista online della più importante
azienda mondiale di macchine fotografiche, ha pubblicato recentemente i tuoi
Ritratti di pastori...
Si tratta di un reportage fotografico che ritrae persone
nel loro ambiente quotidiano. In contemporanea sto portando avanti da due anni un
progetto chiamato «Le storie degli altri». Con attori e modelli
ricostruisco scene e situazioni, set fotografici, su tematiche di tipo sociale.
Parlo di carcere, alcolismo, prostituzione, violenza sulle donne, immigrazione.
È la sfera della stage photography.
Colonna sonora: Francesco De Gregori, Viaggi e miraggi
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Bellissimo reportage, grazie e complimenti davvero
RispondiEliminaGrazie a te, Alessandro, per l'attenzione e per i complimenti.
RispondiEliminaciao anna, come stai, ti ricordi di me? sono romolo pizzica il nomade italo-venezuelano.....molto bello l'articolo e ancora di piu quando si vive di persona un viaggio cosi bello come quel che ho fatto in Afghanistan con la mia bicicletta...ma anche le belleze dell'abruzzo...terra dei miei origgini e paradiso per la bici con le sue montagne e bella gente...complimenti
RispondiEliminaCiao Romolo, certo che mi ricordo di te! Come stai? Grazie per aver letto l’intervista e grazie per le belle parole. Perché non racconti a Terre Nomadi del viaggio in bicicletta in Afghanistan? Aspetto con curiosità la tua avventura, che sicuramente sarà appassionante. Un caro saluto.
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