Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
La distesa marina appare immensa. Un tappeto di terra
ombreggiato fa da sentiero, districandosi abilmente fra alberi di pino e piante
color d’estate. È ora di pranzo e i raggi del sole cadono a picco sull’acqua. L’aria
carica di silenzi invita a sostare sotto la rigogliosa vegetazione del
boschetto. Prima di prendere posto, mi affaccio sulla scogliera che gioca con
le onde. Il panorama lascia senza fiato. Il mare ha sfumature più chiare di
quelle del cielo. Il verde e il blu si mescolano con tracce di luce, dando
all’acqua la trasparenza tipica delle immagini da cartolina. Ma in questo caso
non c’è nessun tocco grafico. Per arrivare in riva bisogna attraversare a piedi
una stradina coperta da palme.
Ritorno nella pineta per godermi un po’ di fresco. A pochi
passi, sotto gli alberi, una bancarella vende piatti di frutta di stagione. Il
canto assordante, ma piacevole, delle cicale si accompagna allo scricchiolio
delle foglie secche calpestate dai passanti.
Baia dei Turchi, a pochi chilometri da Otranto (Le), rientra
nell’oasi protetta dei Laghi Alimini, due bacini naturali, Alimini Grande e
Alimini Piccolo, collegati da un canale detto Lu Strittu. Sono alimentati da
numerose sorgenti e circondati da una fitta vegetazione mediterranea. In una
guida turistica acquistata a Leuca, fra le specie che crescono da queste parti,
vengono segnalate l’orchidea di palude e la castagna d’acqua, in via di
estinzione in Italia. C’è anche l’erba vescica, pianta carnivora temuta dagli
insetti. Curiosità di natura. Il nome della Baia deriva dai guerrieri ottomani
che, nel XV secolo, secondo la tradizione, sbarcarono qui, assediando per circa
due settimane la città di Otranto.
Trascorro l’intero pomeriggio fra sabbia, acqua e terrazzi
di roccia, accorgendomi del tempo che vola attraverso il cammino del sole. Qua
e là si intravede qualche scoglio, ma a spiccare è la sabbia bianca del fondale.
Lungo la strada del rientro, il famoso castello aragonese di Otranto con i suoi
tre torrioni cilindrici.
La giornata è stata intensa. Nell’itinerario mattutino non
poteva mancare la grotta Zinzulusa, incastonata nel tratto costiero fra Castro
e Santa Cesarea Terme. Di origine carsica (fu generata da antichissimi processi
di erosione marina), si presenta ricchissima di stalattiti e di stalagmiti. Il
suo nome deriva dal dialetto salentino zinzuli, stracci, parola riferita alle
stalattiti, simili a tessuti logori pendenti dal soffitto.
Entro nella grotta insieme ad un gruppo di visitatori. Ci
viene concesso di scattare poche fotografie e senza il flash, che potrebbe
danneggiare il risultato di processi chimici lunghi milioni di anni. Dopo
qualche passo, è ben visibile la cosiddetta Conca, una cavità piena di acque
dolciastre e cristalline. Proseguendo, si incontra un’alta cavità detta Il
Duomo, scelta come dimora da numerosi pipistrelli. I loro escrementi in
passato avevano formato uno strato di quasi sei metri, poi solidificatosi, sul
quale era possibile camminare. Il guano è stato estratto negli anni ’40 da
alcuni operai. Testimonianza dell’intervento sono le firme lasciate sulle
pareti della grotta con il materiale estratto. L’interno è fresco e, a tratti, gocce
d’acqua bagnano la pelle. In alcuni punti bisogna abbassarsi per percorrere i
cunicoli, stretti e bassi.
La luce del sole mi abbaglia, quando esco dalla grotta.
Miriadi di barchette attendono il cenno dei visitatori, incuriositi dal resto
della costa. Sembra di essere lontani dal mondo. La vita scorre lenta, come
l’interminabile fila di turisti. Come l’acqua limpida che, lentamente, crea
queste preziose meraviglie.
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