Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
La penna linguacciuta e senza peli di Giovanni Boccaccio avrebbe ricamato una novella ad hoc per celebrare la fine del mondo profetizzata dai Maya. Lui, che già nel Trecento spogliava le donne con l'inchiostro mettendone a nudo astuzie ed inganni, non si sarebbe di certo fatto scrupoli davanti alla catastrofe annunciata. In fondo il Medioevo, epoca in cui l'autore fiorentino è vissuto, qualcosa in Comune con il 2012 ce l'ha. L'ansia e la paura di un black out globale e irrisolvibile rendono l'uomo ricercatore dei suoi desideri sopiti. Lo dimostra il passato, continua a farlo il presente. Succederà anche in futuro, dato che, di catastrofi mondiali, se ne prevedono a bizzeffe. Solo per dare un po' di numeri: 2035, 2060, 2240, 2880, 3797. In vista dell'apocalisse, aprire il cassetto e realizzare l'irrealizzabile diventa un obbligo quasi morale. Che di morale, però, non ha niente. O quasi. Perché, si sa, l'occasione fa l'uomo ladro. E la fine del mondo diventa la scusa occasionale per cogliere il frutto proibito, quello che si affaccia alla coscienza. Ricacciato dentro perché minaccia di mordere. Non sono certo morsi della fame, saziabili con qualche stuzzicchino. Le profezie sulle catastrofi globali stuzzicano altri appetiti, senza il problema dei rimorsi. Tanto, se tutto finisce... corsi e ricorsi storici. Oggi, ieri e domani.
In vista della profezia dei Maya, che fissava la fine del mondo al 21 dicembre 2012, sei autori, tre uomini e tre donne, hanno raccolto in un libro dodici ultimi desideri. Storie di amori insoddisfatti e di sogni serrati, di spose «aguzzine» e di mariti che «emanano grigiore». Ultimo desiderio. Se ti tradisco (non) è la fine del mondo
racconta di donne e di uomini traditi e che tradiscono. Il tradimento è
il filo conduttore di ogni pagina, smania inespressa ed esplosa di
fronte all'idea della fine definitiva. Eva Clesis, Berarda del Vecchio, Gabriella Genisi, Michele Marolla, Michele Monina, Alberto Selvaggi lasciano parlare la loro penna, arbitro e giudice sarcastico, pungente, spietato, concreto di un duello tra sentimenti e voglie, che vogliono prendersi la rivincita. L'amor sacro ne esce distrutto, calpestato da quello profano. Accade quotidianamente, quando sta per finire una relazione e non solo il mondo. Tradire perché c'è una fine e per non mettere la parola fine. Entrambe soluzioni di comodo. Mentre il mondo continua a trascinarsi, insieme alle relazioni. Anche questo è viaggio. Nella realtà.
Scorrono sul volto perle di sudore, inzuppando batuffoli di nuvole bianche. I passi affaticati reclamano una sosta e litigano con gli occhi, che vogliono ancora vedere. Piedi che bruciano, sguardi che indagano. Mancano venti scalini alla porta del Paradiso e lo stupore sembra già affacciarsi al balcone del cielo. Qualcuno ha scoperto il mistero e la bellezza. Torna indietro in silenzio. Negli sguardi dei visitatori si legge tutto, persi come sono in questo paesaggio insolitamente magico, eppure così poco conosciuto. Un'insegna conduce al lago Baofeng, l'altra al monte Tianmen, ingresso al regno celeste. Pochi chilometri tagliano la vetta dalla città di Zhangjiajie, nella provincia cinese dell'Hunan. L'area di Wulingyuan, patrimonio Unesco dal 1992, incorona il luogo e lo tinge di verde. Pennellate di meraviglia.
In Cina il Tianmen è sacro perché «avvicina l'uomo a Dio» con l'ingresso al Paradiso. Gli abitanti del posto sono pronti a giurarlo e dispensano informazioni ai curiosi per dimostrare la verità delle loro parole. Per raggiungere la cima - a circa millecinquecento metri di altezza - bisogna prima percorrere una strada con tornanti e curve vertiginose. Assomigliano a lacci che stringono le forme sinuose, morbide e spigolose della montagna. Poi c'è la lunga scalinata, 999 gradini che conducono all'ingresso del regno divino. La porta - chiamata anche grotta, cancello o arco di pietra - è un'enorme apertura naturale nella roccia. Nelle vicinanze, sorge anche un tempio buddista costruito circa cinquecento anni fa. La compagnia francese Poma ha realizzato otto chilometri di funivia dalla stazione ferroviaria di Zhangjiajie alla sommità della montagna. Si scende ai piedi della scalinata, a circa milleduecento metri. Quassù le sorprese non mancano. Uno skywalk fa rabbrividire anche i più impavidi. Il tratto di vetro sospeso sul vuoto - noto come walk of faith, sentiero della fede - viene percorso dai visitatori con delle pattine di stoffa.
È un accorgimento necessario a non graffiare la lastra, che, nella sua trasparenza, riflette il respiro dell'immenso.
Le stelle di Dante Alighieri sembrano più vicine, viste da queste altezze. E anche la luce di cui parla John Milton quando descrive la strada lunga e impervia verso il Paradiso. Il cielo ha il tocco sfumato della terra, che custodisce i suoi nidi.
Segue un video che mostra scenari incantevoli, cornice di Tianmen mountain (Cina).
Quell'anno, sul finire
dell'estate, di ritorno dalla vacanza in Piemonte, trovammo mia madre alle
prese con un problema. Rami di un albero molto rigoglioso, data la stagione, le
occupavano il vano della finestra, impedendo alla serranda di srotolarsi. Per
la verità, era già stata costretta altre volte a potare l’estremità di quei
rami che le ostacolavano, oltre alla vista, lo stesso regolare uso
dell'infisso. E ce ne eravamo accorti. La povera donna frequentemente doveva strappare
foglie e frasche, più o meno lunghe, per liberarsi dall'invadenza esterna e
dall’ulteriore rischio di eventuali danni. Osservato il suo affanno, ci
accingemmo ad aiutarla, mia moglie ed io, prima per sollevarla dall'inconveniente,
ma anche perché, operando, sarebbe stato più facile tagliare l'estremità dei
rami inopportuni, una reggendoli, l’altro strappandoli.
Grande fu lo stupore
quando ci accorgemmo che l’albero era della stessa specie di quelli che avevamo
conosciuto - o creduto di aver conosciuto - in estate sull’isola di San Giulio.
Eppure, con la pianta avevamo condiviso almeno dieci anni, da quando mia madre
si era trasferita in quella casa.
Bolzano
La cosa finì lì. Ma non
era finita. Alla fine della stagione estiva, nuovi eventi e nuove decisioni ci
portarono ad optare per un trasferimento della residenza della famiglia in Alto
Adige. Iniziava una nuova fase della
nostra vita. Io avevo cambiato lavoro. La famiglia, cambiato abitudini.
Fortunatamente i bambini non avevano ancora fatto esperienza di scuola a Roma.
Questo trasferimento comportò che, da quell’anno, preferissimo le vacanze al
mare, e, per restare più vicini alle nonne, si tornò a Napoli, al mare
nostro. La nonna Iolanda, come aveva sempre fatto, continuò a mantenere per noi
la cabina, la stessa che ci aveva sempre riservato da quando portava i suoi figli
ai bagni di mare. E, così, dalle parti di Omegna non si tornò più.
Ma veniamo alle nuove
abitudini, alle quali dovemmo assuefarci, con nostro compiacimento. I bimbi,
per quanto piccoli, si recavano a scuola da soli. Alcuni anche in bicicletta.
Tralascio gli altri vantaggi, che ci capitò di apprezzare un po’ per volta. Recandomi
quotidianamente a Bolzano per motivi
di lavoro, notai che tutti gli alberi dei parchi pubblici, e i
filari che costeggiano le strade, erano contrassegnati da una targhetta col nome
volgare (italiano e tedesco), e il corrispondente nome scientifico, della pianta.
Non pensavo tanto alla correttezza amministrativa o al livello di senso civico,
ma alla funzione pedagogica verso i ragazzi della scuola e, più ancora, verso
la popolazione in genere.
Bressanone
Dopo qualche mese, provai
la stessa emozione quando, in visita al museo (ex palazzo vescovile) di Bressanone, lungo l’antico fossato, ci
imbattemmo in un magnifico, colossale, albero secolare, identico sia a quelli che avevo visto sull'isola di San Giulioche nel cortile
dell’abitazione di mia madre a Pompei.
Portava la sua brava targhetta, su cui, insieme alla data dalla quale era
documentata la presenza in quel sito, compariva anche il nome della pianta: Paulownia tomentosa. Così ho conosciuto la
Paulonia.
Che cosa c’entra questa
esperienza con l’attività di sensibilizzazione e di educazione promossa dai
naturalisti e dalle civiche amministrazioni? E che cosa ha a che fare il
racconto con la cultura?
Io dico che ci serve, innanzitutto, per capire. Nell’uno e nell’altro campo d’azione o di interessi. E
mi viene in mente il racconto biblico - cerco di ricordare alla meno peggio -
in cui Dio, dopo aver creato il mondo, compresa la coppia umana, chiama Adamo a
dare i nomi alle cose. Ecco, quale che sia l’esegesi che ne fanno i dotti, io
credo di cogliere proprio questo fatto, cioè che l’uomo è chiamato (da Dio) a
sviluppare il linguaggio e ad organizzare il pensiero servendosi delle cose
create. In altre parole, attraverso la sua diretta esperienza. Da piccoli, ci
insegnavano come questa narrazione rappresenti il dominio dell’uomo sul creato.
Ebbene, sono disposto
ad accettare tale spiegazione solamente nel senso di cui ho detto prima: l’uomo, padrone del mondo, sì, ma attraverso il linguaggio e guidato dalla
ragione. Partendo dall’ esperienza.
Colonna sonora: Phil Collins, Another day in paradise
L’articolo che segue
era destinato - come gli altri, d’altronde
- alla mia rubrica personale di storie minime. Allo stesso tempo, però, è
proposta di soggetto culturale ed esercizio di pratica consapevole di lingua
parlata. Scritta per l’occasione.
Dovete sapere… per non
farvela lunga, abbrevio.
Prima di trasferirmi in
Alto Adige, paesaggio di montagne e
regione ricca di varia vegetazione, avevo preso l’abitudine di portare la
famiglia in vacanza dalle parti del Lago
Maggiore: per l’esattezza, nella Valle
Strona, tra il Lago d’Orta e il
Lago Maggiore (o, meglio, il piccolo Lago
Mergozzo) - all’epoca provincia di Novara - con, di fronte, il Mottarone. Per me, convinto, fino a
quel momento, che la vacanza fosse un lusso, essa divenne una necessità dopo la
nascita di tre figli in tre anni. Si era nell’anno successivo alla
pubblicazione del romanzo-racconto di Gianni
Rodari C’era due volte il barone Lamberto, ovvero i misteri dell’isola di San
Giulio (1978).
Lago d'Orta, isola di San Giulio
Di Rodari i miei figli
avevano ricevuto alcuni libri, dono del loro zio e di altri
amici intellettuali. Pertanto, già conoscevano dalla voce della mamma
i racconti e le poesie. Quell’anno, con l’uscita del Barone Lamberto,
seguirono anche la lettura di alcune sue pagine (lo dico adesso: molto
interessante l’incipit). Nonostante la tenera età, erano in grado di percepirne la verve, lo spirito, lo
scherzo. Inoltre, sempre attraverso la lettura che gliene faceva la mamma,
avevano appreso di alcune delle filastrocche in cielo e in terra, o
delle favole al telefono (due delle preziose opere del citato
autore), o dei ricercati e vivaci limerick, o dei dissacranti e saggi
componimenti del Libro degli errori (altra importante opera).
Sicché, per la vacanza
dell'estate 1979, sembrò inevitabile, quasi un obbligo, oltre che visitare Omegna, città natale di Rodari, che già
conoscevamo per averla vista negli anni precedenti, fare un’escursione sull’isola di San Giulio, al centro del lago
d’Orta, sede di quei misteri di cui si narravano le meraviglie nel nuovo
romanzo.
Paulownia tomentosa
Tra le stranezze in cui capitò d'imbatterci, l'approdo in prossimità della chiesa, la
brevità della passeggiata per percorrere l’intera isola, la bellissima chiesa
romanica col pulpito in pietra nera locale, la foresteria di una piccola
comunità di suore di clausura che dava direttamente sul lago, di fronte
all’imbarcadero di Orta, l’esiguità
del numero di costruzioni, la stessa mancanza di persone circolanti, che faceva
sembrare l’isola disabitata. Notammo una curiosa vegetazione, ancora più strana
per noi, abituati alla macchia mediterranea, agli orti, ai giardini di frutta,
alle estese coltivazioni. Ci colpì, in particolare, una pianta: un albero
massiccio che presentava dei frutti a grappolo dalla forma di mandorle
essiccate, un po’ più bruni, più gonfi, più appuntiti, e, data la stagione, più
secchi. Nel raccoglierne da terra qualche esemplare, ci accorgemmo che si
trattava di gusci legnosi, leggermente aperti verso la punta. Per il fatto che
ci fossero estranei e sconosciuti, Patrizia ed io deducemmo che si trattasse di
una peculiare vegetazione lacustre.
Paulownia tomentosa
La vacanza, molto
interessate, riposante, ristoratrice, purtroppo breve, finì. E così si tornò
al Sud. All’epoca, pur abitando noi a Roma,
poiché i bambini non erano ancora in età scolare, insieme alla mamma
trascorrevamo lunghi periodi a casa di mia suocera, a Torre Annunziata, dove la nonna Iolanda li accoglieva con grande
gioia. Quando, a fine settimana, dopo il lavoro, rientravo da Roma anch’io, per mezza giornata si faceva visita a mia madre, la nonna Elia, a Pompei.
1 pollo da un Kg circa tagliato 1 lime 3 cucchiai di yogurt bianco 1 spicchio di aglio 1 ciuffo di coriandolo 1 cucchiaino di radice di
zenzero 1 cucchiaio di succo di limone 1 cucchiaio di olio di semi 1 cucchiaio di garam masala 1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere 1/2 cucchiaino di curcuma macinata
Come si fa
1. Si prende la carne
di pollo tagliata in quarti e la si incide in profondità su ogni pezzo.
2. A parte, in una terrina, si mescolano il garam masala, lo yogurt,
l’aglio, il peperoncino, la curcuma, il coriandolo tritati, lo zenzero
grattugiato, il sale, il succo di limone e l’olio.
3. Si immerge
la carne di pollo in questo composto, lasciandola marinare per tre ore.
4. Una volta trascorse le tre ore, si dispongono i pezzi di pollo in una
teglia e si cuociono in forno per 25 minuti circa a 200°.
Alla parola viaggio, nella nostra mente si materializza
l’immagine di un'automobile, di un treno, di un aereo o, per i più fantasiosi, persino
di un'astronave. Non pensate mai a
quanto possano viaggiare velocemente i fotogrammi? La loro successione è
il biglietto di sola andata per migliaia di fantastici viaggi.
Adoro osservare i
bambini che, per la prima volta, mano nella mano con i genitori, siedono entusiasti
sulla poltrona rossa. Stringono fieri tra le manine il loro biglietto. Si
guardano intorno. Le luci si spengono e, per qualche secondo, la sala è immersa nel buio. Trattengono il respiro. Improvvisamente lo schermo si anima e vengono scaraventati in viaggi tra mondi
fantastici, città illuminate dall’alba, mari in tempesta o, addirittura, lontani
nel tempo, in terre nomadi.