lunedì 17 febbraio 2014

Paulownia tomentosa, grappoli sul Lago d'Orta

di Luigi Casale
casaleluigi@yahoo.it

L’articolo che segue era destinato - come  gli altri, d’altronde - alla mia rubrica personale di storie minime. Allo stesso tempo, però, è proposta di soggetto culturale ed esercizio di pratica consapevole di lingua parlata. Scritta per l’occasione.

Dovete sapere… per non farvela lunga, abbrevio.

Prima di trasferirmi in Alto Adige, paesaggio di montagne e regione ricca di varia vegetazione, avevo preso l’abitudine di portare la famiglia in vacanza dalle parti del Lago Maggiore: per l’esattezza, nella Valle Strona, tra il Lago d’Orta e il Lago Maggiore (o, meglio, il piccolo Lago Mergozzo) - all’epoca provincia di Novara - con, di fronte, il Mottarone. Per me, convinto, fino a quel momento, che la vacanza fosse un lusso, essa divenne una necessità dopo la nascita di tre figli in tre anni. Si era nell’anno successivo alla pubblicazione del romanzo-racconto di Gianni Rodari C’era due volte il barone Lamberto, ovvero i misteri dell’isola di San Giulio (1978).


Lago d'Orta, isola di San Giulio

Di Rodari i miei figli avevano ricevuto alcuni libri, dono del loro zio e di altri amici intellettuali. Pertanto, già conoscevano dalla voce della mamma i racconti e le poesie. Quell’anno, con l’uscita del Barone Lamberto, seguirono anche la lettura di alcune sue pagine (lo dico adesso: molto interessante l’incipit). Nonostante la tenera età, erano in  grado di percepirne la verve, lo spirito, lo scherzo. Inoltre, sempre attraverso la lettura che gliene faceva la mamma, avevano appreso di alcune delle filastrocche in cielo e in terra, o delle favole al telefono (due delle preziose opere del citato autore), o dei ricercati e vivaci limerick, o dei dissacranti e saggi componimenti del Libro degli errori (altra importante opera).

Sicché, per la vacanza dell'estate 1979, sembrò inevitabile, quasi un obbligo, oltre che visitare Omegna, città natale di Rodari, che già conoscevamo per averla vista negli anni precedenti, fare un’escursione sull’isola di San Giulio, al centro del lago d’Orta, sede di quei misteri di cui si narravano le meraviglie nel nuovo romanzo.

Paulownia tomentosa
Tra le stranezze in cui capitò d'imbatterci, l'approdo in prossimità della chiesa, la brevità della passeggiata per percorrere l’intera isola, la bellissima chiesa romanica col pulpito in pietra nera locale, la foresteria di una piccola comunità di suore di clausura che dava direttamente sul lago, di fronte all’imbarcadero di Orta, l’esiguità del numero di costruzioni, la stessa mancanza di persone circolanti, che faceva sembrare l’isola disabitata. Notammo una curiosa vegetazione, ancora più strana per noi, abituati alla macchia mediterranea, agli orti, ai giardini di frutta, alle estese coltivazioni. Ci colpì, in particolare, una pianta: un albero massiccio che presentava dei frutti a grappolo dalla forma di mandorle essiccate, un po’ più bruni, più gonfi, più appuntiti, e, data la stagione, più secchi. Nel raccoglierne da terra qualche esemplare, ci accorgemmo che si trattava di gusci legnosi, leggermente aperti verso la punta. Per il fatto che ci fossero estranei e sconosciuti, Patrizia ed io deducemmo che si trattasse di una peculiare vegetazione lacustre.

Paulownia tomentosa
La vacanza, molto interessate, riposante, ristoratrice, purtroppo breve, finì. E così si tornò al Sud. All’epoca, pur abitando noi a Roma, poiché i bambini non erano ancora in età scolare, insieme alla mamma trascorrevamo lunghi periodi a casa di mia suocera, a Torre Annunziata, dove la nonna Iolanda li accoglieva con grande gioia. Quando, a fine settimana, dopo il lavoro, rientravo da Roma anch’io, per mezza giornata si faceva visita a mia madre, la nonna Elia, a Pompei. 



Continua nel prossimo reportage.



Colonna sonora: Black, Wonderful life 







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