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Belchite, pueblo viejo. C’era il sole quando la guerra civile spagnola trasformò l’appartato e ridente borgo rurale in un ammasso di macerie e di cadaveri. Ruinas historicas le chiamano oggi, con tanto di cartello sistemato all’ingresso della cittadina abbandonata. E ai turisti piace quell’odore di silenzio che soffia tra gli edifici, fermi a 77 anni fa. Un fascino che racconta di morte, perché tolse la vita a uomini, donne, anziani e bambini.
La distruzione di Belchite fu figlia di un pretesto, fermare
l’avanzata dei golpisti. La ragione era un’altra, come accade sempre nei
terremoti umani che lasciano frantumi. L’estate del 1937 stava per finire e il
governo repubblicano voleva conquistare il borgo per impadronirsi di Saragozza,
capitale dell'Aragona, punto strategico per comunicare con il resto del
territorio. Le linee franchiste si trovavano ad un pugno di chilometri, pronte
a resistere all’attacco socialista.
La lunga resistenza salvò Saragozza, ma non Belchite,
distrutta dai repubblicani e, in seguito, insignita della più alta onorificenza
militare spagnola, la «Cruz Laureada de San Fernando». Il piccolo villaggio aveva
offerto i propri abitanti alla guerra per strappare alla morte la capitale
aragonese.
Nel riconoscimento attributo al paese, il generale Franco
definì Belchite «il baluardo che bloccò la furia rossa. Sui fronti di battaglia
e nella guerra a taluni tocca essere incudine e ad altri essere martello.
Belchite fu l´incudine, fu il ridotto che doveva resistere mentre si
sviluppavano le operazioni al Nord. Belchite - si legge ancora - offrì il petto
dei suoi figli affinché fosse possibile la vittoria. Dal sangue versato e dallo
sforzo eroico di uomini, donne e bambini scaturì la nostra vittoria».
Il Comune spagnolo venne ricostruito dal regime franchista,
ma non in loco. Accanto alle rovine sorse una cittadina con lo stesso nome, che
attualmente conta circa milleseicento abitanti. Il paese vecchio venne affidato
al tempo, ladro di giovinezza. L’arco de San Roque, le chiese di San Martin, San
Juan, San Augustin, il convento di San Rafael, la cappella di San Anton, case e
palazzi monchi sono testimoni della pazzia umana. Ruggine che divora inferriate,
ringhiere e la storia di chi non ha potuto guardare in faccia alla vita. Storie
fatte a pezzi dalla Storia e che non conserveranno mai nomi, se non nei racconti
dei familiari.
Oggi Belchite è molto gettonata dal punto di vista turistico
e mostra ai visitatori anche il suo volto notturno. Un recinto chiude le
macerie e si entra solamente con il biglietto e accompagnati dalla guida. Gli
edifici senza tetto lasciano spazio al cielo, unico abitante rimasto. L’unico a
poter lavare gli orrori umani quando il peso della memoria buca le nuvole.
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