giovedì 5 giugno 2014

La storia di Luan Hallulli, imprenditore albanese che ha fatto fortuna in Italia

«Altamura è stata la mia rinascita. A quattordici anni consegnavo farina ai panificatori»

annamaria9683@libero.it

Luan Hallulli
Luan Hallulli è nato due volte. Il suo primo vagito appartiene all’Albania, il secondo all’Italia. Aveva 14 anni quando è arrivato in Puglia, ritrovando speranza e sorriso ad Altamura. Ora deve compierne 36. Vive con la moglie e le due figlie in Abruzzo, a Pratola Peligna (Aq), dove ricopre la carica di presidente dell’associazione italo-albanese. Gestisce un’impresa di costruzioni che va a gonfie vele. E confessa di custodire un sogno nel cassetto: «Vorrei rincontrare i tanti altamurani che sono stati al mio fianco per cinque lunghi anni, permettendomi di rinascere. A questa città va il mio grazie».



Luan, quali ricordi hai della tua infanzia?

Sono nato in una famiglia di contadini, povera, ma di buon cuore. E in un paese dell’Albania - Bago - che conta pochissimi abitanti. All’epoca c’era il regime comunista di Enver Hoxha, che continuava a mietere vittime. Mio padre, Murat Hallulli, mi raccomandava di stare sempre attento alle parole che pronunciavo. Guardare programmi e canali televisivi di altre nazioni era proibito, dovevamo farlo di notte. Per arrivare all’ospedale bisognava percorrere diversi chilometri, così mia madre mi ha messo al mondo in una delle spiagge vicine a Bago.



Quando hai deciso di tentare la sorte in Italia?

Nel 1989, un deputato del Parlamento albanese disse pubblicamente che mancava persino la farina per fare il pane. Cominciammo a cercare altrove ciò che non avevamo più in patria. Venire in Italia, la terra della speranza, era il sogno di tutto il nostro popolo. Io ci sono arrivato a luglio del 1992 con un gommone carico di circa trenta persone. Avevo 14 anni e sentivo mescolarsi in me gioia e timore. Siamo sbarcati ad Otranto, in Puglia. Corsa a Bari. Poi da Bari a Pescara, in Abruzzo.



Avevi appena 14 anni e vagavi da solo in un luogo sconosciuto. Cosa hai provato in quegli attimi?

Sceso alla stazione di Pescara, non sapevo dove andare. Avevo visto la polizia e tremavo per la paura. Mi incamminai senza una meta, fino a ritrovare di fronte a me il mare. Era estate e notai delle sdraio, così approfittai per recuperare due giorni di sonno perso. Fui svegliato dal rumore delle onde. Pensavo ad un sogno e, invece, era tutto vero. Mi buttai in acqua per lavarmi e, poi, presi la direzione della stazione. Dovevo raggiungere mio fratello a Popoli, in provincia di Pescara. Non parlavo l’italiano e cercavo di far capire a gesti dove dovevo andare. Stavo morendo di fame, non avevo mangiato niente ed erano finiti i soldi. I pochissimi spiccioli che restavano, bastavano a malapena a pagare il biglietto del treno. È stato molto bello rivedere mio fratello a Popoli dopo il lungo viaggio, quasi non ci credevo. Sono rimasto qui per pochi mesi.



Altamura (Ba)
Poi cosa è successo?

Ero troppo piccolo e sapevo già che trovare lavoro sarebbe stata un’impresa. Sono partito per Torino, poi per Casale Monferrato. Anche lì la mia età non mi permise di lavorare. Ma qualcuno disse che avrei potuto tentare in Puglia, ad Altamura, in provincia di Bari. Qui viveva già da alcuni anni mio cugino e il primo impiego arrivò subito. Presso il mulino «Moramarco».



Come si svolgevano le tue giornate ad Altamura?

Consegnavo sacchi di farina ai panificatori pugliesi. Sono rimasto ad Altamura per cinque anni, dal 1992 al 1997. Per circa due anni ho lavorato sempre con la stessa persona e, per altri due, mi sono occupato di cavalli in una masseria. Conosco altamurani che hanno fatto tanto, non solo per me, ma anche per gli altri immigrati. In particolare, ricordo Fabio Marroccoli della Polizia municipale, una persona che non dimenticherò mai. Il mio pensiero corre anche a Leonardo Ferrulli, a Luca Cagnazzi, alla famiglia di Michele Desimine e a tutte le persone incontrate sul mio cammino. Non le ho più riviste, ma spero di poterle riabbracciare presto.








2 commenti:

  1. Una storia interessante che mescola a piene mani il nostro presente con il nostro futuro.
    Migranti dal e per il mondo.

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  2. Concordo. Grazie per l'attenzione e per il commento. Forse bisogna essere migranti con i migranti per raccontare le loro storie, che si possono incontrare solo per strada.

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