Il mare di Pola |
Apri il pc e ti volti: il cielo si sta esibendo in un nuovo
numero artistico. Il tramonto è di quelli da fermare subito. Click. Intanto
inizi a scaricare dalla digitale gli istanti che hai scelto nell’ultimo
viaggio. Colleghi il cavo della fotocamera e torni indietro sfogliando i
ricordi. Cammini, sono le sei del mattino, Pola sonnecchiando riprende il
ritmo. Hai accompagnato una persona molto importante per te alla stazione dei
bus. Mentre vedevi il pullman andarsene, hai iniziato a sentire un brivido di solitudine
e libertà. Hai deciso: prima di tornare all'alloggio, ti saresti fatto
trasportare dal flusso degli eventi. Le città, in base all’ora in cui vengono
vissute, mutano. La luce dell’alba, sfumata di pesca, dà una morbidezza nuova
agli edifici intorno. Dopo un cappuccino per buttar giù degli zuccheri e stare
sveglio, muovi i primi passi fuori dalla stazione. Lo stupore nasce subito, lì
vicino. Le pietre dell’arena romana sono rosa. Ieri, quando l’avevi visitata
alle tre del pomeriggio, rifletteva una luce aggressiva che mandava in
confusione. Ora l’arena è qui, mansueta, nel suo ovale perfetto, a mettersi in
mostra vezzosa nonostante gli anni, a farsi fotografare. Sei sulla parte alta
del pendio e di là, oltre gli archi, si vede il mare di un blu-verde
misterioso. Prendi qualche respiro di iodio che va giù nei polmoni tesi.
L'aria, con quel sapore, è la stessa che i gladiatori respiravano pensando
all’esibizione della sera, che poteva essere un trionfo o l’ultima.
Anfiteatro romano sul lungomare di Pola |
Dopo alcune foto appoggiando la macchina al parapetto, allo
iodio si sostituisce un aroma di pane e brioches calde, appena sfornate. Sembri
ipnotizzato da quel profumo, come un serpente che resta legato al flauto
dell’incantatore, e lo segui senza opposizione. La sensazione di disagio che si
era concentrata in pancia alla stazione si sta diradando. Da alcuni giorni
cercavi la chiave per entrare nello spirito della città croata. Ora che l'hai
presa alla sprovvista, lei ti sta mostrando una parte nuova, come accade alle
persone. Annoti sul taccuino queste parole, forse l’inizio di una poesia: «Ogni
luogo, ogni persona, ogni incontro o silenzio nascondono una porta che dà
direttamente su dio». La parola Dio l’avevi scritta con la lettera maiuscola,
ma c’è qualcosa che non va. La correggi subito in minuscola. Perché il dio che
immagini tu, in quel momento, non è certo un anziano barbuto che ci guarda da
una nuvola per punirci. No! Quel dio che senti è intorno, dentro di te, è
amico, è dolce, è famiglia, radici, sorpresa, comprensione e dolcezza, è donna
probabilmente, mamma: tutte cose che con la lettera maiuscola sembrano non
andare d'accordo. Sul pc appare la foto della chiesa bianca, dietro l’arena,
che hai raggiunto subito dopo, seguendo il serpentone d'aroma. Ti fermi lì un
attimo, ti avvicini alla porta dell'edificio. Una donna all’interno prega
guardando in alto, immobile: sarà qui da ore. Una suora, sull’altare, si muove
laboriosa e mette a posto il necessario per la prima messa di giornata. In
quello spazio, tra dentro e fuori, ti senti disorientato. Guardi all’interno.
Pensi: dio dov’è? Lì dentro o qui fuori nel mondo? La stasi dura poco: saluti
Gesù con l’occhiolino ed esci. Nelle viuzze di Pola, superato l’arco romano di
Ercole, ti imbatti in persone che sono interessanti, eccentriche o solo normali:
tutte porte di comprensione sulla bellezza della vita che ti fluisce intorno.
Ecco la foto della panettiera. Lei, con mani pazienti, con
unghie turchesi, aveva impastato quella delizia di pane che diffonde profumo e
calore. Sempre con quelle mani, mentre le rubo un’immagine, sta picchiettando
sul telefono, sembra presissima. Alle sei del mattino a chi starà scrivendo? A
chi starà pensando? Mi nota, mi segue per un momento con lo sguardo. Ma sono
già via, sento un vociare confuso che viene di là. Hai l’arco romano dei Sergii
sulla destra, poco oltre vedi un James Joyce di bronzo seduto al tavolino del
caffè che spesso frequentava a Pola, nei suoi anni di insegnamento. Segui il
rumore e decidi di andare a sinistra, lungo la via principale dei negozi, che
stanno aprendo uno dopo l’altro. Incroci lo sguardo di una donna molto
truccata, perfetta nel vestiario, con gambe lunghe e un’espressione rigida,
lontana. Ne percepisci la maschera, la perfetta fragilità. Ti sbarazzi dopo un
po' dei pensieri circolari che ti tengono ancorato a lei e di fianco spunta un
uomo che vaga, molto più di te. Tu hai deciso di girare in quest’alba croata,
lui va e basta, nello spazio, nel tempo, nella vita. Tiene una bottiglia di
vino in mano, come un amuleto. E si dirige alla fontanella: si abbassa, si lava
e con la destra non molla il suo scettro vuoto.
La statua di James Joyce nel centro della città |
Finalmente ci sei, o ti ci sei trovato, è meglio dire: il
mercato di Pola, alla fine della via, sta prendendo vita. Sembra di entrare in
un mondo a parte. I mercanti hanno la loro ritualità nel disporre frutta,
verdura, prodotti vari. C’è durezza e gioia, nei loro volti, c’è un po’ di
Croazia qui, tra i banchi che mi scorrono a fianco. Le pesche che compro,
tonde, sode, sfumate gialloarancio, sono un dono prezioso. Le banane schizzano
agli occhi con il loro giallo accattivante e i bomboloni sono stati appena
sfornati vicino quel banchetto giù di là. «How much are these?» chiedo alla
ragazza che ha lo sguardo vispo già a quell'ora. «Seven Kuna each». Ne prendo
tre: due alla marmellata di rosa canina, tipica della Croazia, e uno al
cioccolato. Mi allontano, girandomi ogni tanto, fiero del mio tesoro in busta,
assaporando le emozioni di un presente intenso: ognuna di esse è un numero in
più della combinazione per aprire la porta, quella porta. Le tengo strette al
cuore.
Tramonto dalla penisola di Verudela, Pola |
Operazione completata. Tutte le foto sono scaricate sul pc.
I file nella cartella si stanno aprendo, uno dopo l’altro, in piccolo. Così
posso muovermi con la memoria avanti e indietro, a caso. Scelgo un tramonto:
uno dei dodici che ho fotografato a Pola. Ogni giorno mi sedevo sul balcone
attendendo. E ogni giorno fermavo la meraviglia sui pixel della fotocamera.
Chiudevo il cielo, la sua essenza d'infinito, nello spazio di cinque centimetri
per cinque dello schermo sul retro. Questa è forse la più bella delle dodici.
Il sole scarlatto e arancio è per metà dietro la linea creata dal mare. Sono di
nuovo là, seduto sul mio scoglio a forma di sedia. Attendo il silenzio che
arriva portato dal ritmo ciclico delle onde nere. E nel silenzio intuisco che
quel sole è la mia porta, personalissima, una delle tante che il viaggiatore
incontra sul cammino: la porta sul segreto della vita. Mentre chiudo il pc,
stacco i cavi, metto la digitale nella custodia, sento che il viaggio, ancora
una volta, non mi ha migliorato né peggiorato. È stato solo un grande maestro:
di quelli che permettono all’allievo, senza interferire, di tirar fuori le
proprie emozioni e qualità per generare senso. Un senso più grande.
Fabio Castano
castano.fabio@libero.it
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