mercoledì 12 settembre 2012

Macugnaga, il messaggio della montagna... tra una polenta e l'altra



Tris di polenta con funghi, cervo e salsiccia
Sali la serpentina di curve strette con la macchina che arranca e sbuffa perché l’aria condizionata è accesa e le toglie la spinta. Il cd che la tua compagna di viaggio ha preparato è perfetto e sembra quasi una meditazione in parole e musica. Hai tanti pensieri che si accumulano in testa e la canzone di Arisa “Pace” sembra accendere una piccola luce nell’intrigo complicato delle tue emozioni. Destra, sinistra, arriva una macchina dritta, la scansi. I cartelli delle frazioni ti accompagnano, finché non giungi a destinazione. Si apre una piazza piccola e accogliente, parcheggi e scendi. Tiri dentro una bella boccata d’aria fresca, dopo un’estate passata a boccheggiare. Ti guardi intorno, sei circondato dall’imponenza ferma delle montagne che cingono questa deliziosa città piemontese in provincia di Verbania, Macugnaga. Noti subito le minute costruzioni in legno antico, alcune baite alpine un po’ più in alto e il gioco di luci e ombre che la montagna alla tua destra, il Monte Moro, sa mettere in scena con il sole dietro di lei. Sei partito accettando l’incertezza emotiva che vivevi in quel periodo, non hai una prenotazione per la sera, le prime ore le passi cercando un posto dove alloggiare. Ma va bene, per ora, è bello così: siete cullati dal sottile tremito della serendipità, che alla fine risponde sempre. Vai a mangiare in un ristorante piccolino, lì, di fronte all’alloggio, quasi attirato magneticamente da una scia di profumo. Sarà la prima magnifica polenta e funghi che mangi in questa permanenza, non l’unica.

Al Lago delle fate - «La montagna è un luogo dell’Essere, per come la vedo io. È un luogo di visioni, di segni, di simboli, di bellezza palpabile e concreta. E anche “il fare” di montagna, come la camminata, la scalata, la più breve passeggiata o la mangiata, si trasformano, spesso, in momenti di contemplazione. O, ancor meglio, di spegnimento dei pensieri cittadini». Riflettevo così, tra me e me, dimostrando a me stesso che i pensieri erano ancora ben attivi. C’era bisogno di andare fuori e, in qualche modo, di andare dentro di me, di conseguenza. Così io e Sara siamo partiti, dopo un attimo di esitazione, per un sentiero sulla montagna, verso il piccolo bacino del Lago delle fate. C’ero già stato qualche anno fa. 


Il Lago delle Fate
Ho notato, nella nuova salita, di non ricordare quasi niente della prima camminata che avevo fatto. Le percezioni di spazio e tempo erano molto diverse, le emozioni da superare, rispetto ad allora, molto più intense. Ricordo quasi ogni passo, quasi ogni pensiero scansato, ricordo gli squarci di infinita bellezza che ti aspettano dopo ogni curva, dopo ogni piccolo tratto oltrepassato. Si arriva al laghetto, adagiato lì come uno specchio capace di includere quasi tutto il cielo turchese, spazzato quel giorno da un vento cocciuto. E si mangia, di nuovo, di puro gusto e godimento, una polenta d’oro con una cascata di formaggio fuso, alla faccia della dieta! Nei giorni seguenti è arrivato pure il brutto tempo, un classico di montagna. Si sta in casa, ci si rilassa, si cerca di leggere qualcosa tra un momento di relax e l’altro. Buttando lo sguardo fuori dalla finestra c’è il Monte Rosa, col suo corpaccione imponente, che aspetta una visita ravvicinata.

Parete est del Monte Rosa vista dai 3000 metri del Monte Moro
Salita al Monte Moro - La funivia è lì che aspetta. Questo gabbiotto colorato di blu, quasi ridicolo da vedere, che porta in un lampo piccoli uomini nel ventre della montagna, ti sta invitando da giorni. Ci giri in giro, lo studi bene. Se credi di affrontare la salita con la ragione, non ci andrai. Quindi serve un lampo di incoscienza, che arriva, e sei dentro. Stai salendo, piano piano, oscillando, da 1300 a 3000 metri. I passaggi sui piloni della funivia ti mandano lo stomaco in gola facendoti sentire piccolo e sicuramente indifeso al cospetto della grande montagna. E quando arrivi, metti piedi al suolo, ti sembra di essere atterrato sulla Luna. Se avessi una bandiera con te, la pianteresti lì, con scritto «Io ci sono stato». L’aria è praticamente senza ossigeno, quindi, dopo pochi attimi euforici, ti inizia a girare la testa. Ti devi sedere, guardandoti intorno. 

In attesa della funivia
La parete est del Monte Rosa è là, a portata di mano. Se ti allunghi quasi la tocchi. I pensieri, come l’ossigeno, a 3000 metri si diradano. Scendi nel rifugio arrancando e ti gusti, dopo poco, il sapore della nuova polenta che hai nel piatto. A 3000 metri non l’avevi mai mangiata. Ogni tanto ti volti e dalle grandi vetrate panoramiche del rifugio guardi il Rosa, quasi gli fai l’occhiolino. Ti sta insegnando qualcosa della sua saggezza millenaria: se hai toccato il fondo di una valle di dolore non disperare, la risalita è già cominciata. Così come la vetta, anche la valle ha tutto da insegnarti. 

Fabio Castano  
castano.fabio@libero.it


3 commenti:

  1. bello l'articolo .... però la foto iniziale è un attentato!!! :-)
    Ciao Marco

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  2. Grazie Marco! La foto iniziale è un attentato alla linea, hai ragione. Ma fa niente, era troppo buono quel tris di polenta. A presto, Fabio ;-)

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  3. Grazie, in fondo raccontiamo ciò che abbiamo vissuto e sentito nei nostri viaggi. Cerchiamo di trasmetterlo a chi ci legge. E i "sognatori" riescono sempre a percepire nella scrittura sensazioni ed emozioni spesso "nascoste" fra una parola e l'altra ;)
    A presto

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