lunedì 24 settembre 2012

Il ritorno del giovane principe




Antoine De Saint Exupéry e Alejandro Guillermo Roemmers. Due scrittori che hanno inseguito le orme di un’infanzia capace di rivivere nel cuore degli adulti. «Il Piccolo Principe» riesce a sentire le stelle suonare «come fossero cinquecento milioni di sonagli». Anche quando cresce e, ormai adolescente, decide di tornare sulla terra. Si ritrova accasciato sul ciglio di una strada della Patagonia, in cattive condizioni per la stanchezza e la fame. «Fagotto dall’aspetto strano», lo definisce Roemmers. Ma un viaggiatore solitario nota i capelli d’oro e il corpo esile del giovane. Si ferma e lo soccorre, offrendogli la propria automobile come rifugio temporaneo. L’incontro diventa amicizia e i due, mentre girovagano, cominciano ad interrogarsi sull’esistenza e sulla quotidianità, sui valori e sui sentimenti. Proprio come accade nell’opera prima di Antoine De Saint Exupéry.

«Il ritorno del giovane principe» rappresenta una sorta di continuazione della storia pensata dallo scrittore francese morto nel 1944, mentre svolgeva delle missioni di ricognizione sul suo aereo. Dal 6 aprile 1943, anno di pubblicazione de «Il Piccolo Principe», diversi sono stati i tentativi di trovare un sequel al romanzo, divenuto famoso in tutto il mondo. Antoine De Saint Exupéry, alla fine del libro, parla dell’Africa e del deserto del Sahara come luogo di un possibile ritorno del bambino dai capelli d’oro. L’argentino Roemmers gli cambia l’età e lo fa approdare in Patagonia.

Resta il fatto che al centro dei due libri c’è un viaggio particolare, che non ha tempi né spazi. Quello nell’interiorità umana. Nei meandri delle sue tante domande. Nell’affanno dell’uomo che cerca traguardi tanto inutili quanto dannosi. Tutto, invece, è racchiuso nell’attesa semplice di un bambino capace di stupirsi davanti ai tramonti. Preoccupato per la sua rosa. Unica, rara e preziosa perché curata giorno dopo giorno. Il bambino che vuole dall’aviatore il disegno di una pecora e il giovane riverso sul ciglio della strada parlano un linguaggio che gli adulti potrebbero ancora comprendere. Se solo provassero a mettersi in ascolto.

Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it



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