Tutto quello che siamo lo portiamo con noi nel viaggio. Portiamo con noi la casa della nostra anima, come fa una tartaruga con la sua corazza. In verità, il viaggio attraverso i paesi del mondo è per l'uomo un viaggio simbolico. Ovunque vada è la propria anima che sta cercando. Per questo l'uomo deve poter viaggiare (Tarkovskij).
giovedì 14 novembre 2013
Dalla Puglia all'Abruzzo, cinquant'anni fa (parte seconda)
Alzo lo sguardo e noto la finestra della camerata dalla
quale, nelle sere primaverili, al bisbiglio della natura, vedevo il mondo
intero su schermo tridimensionale e in cinemascope. Dal passante solitario e
dall’ultimo uccello vagante agli astri che andavano a bere alla luna sopra un
letto di alberi addormentati fra i monti dell’Appenino. E, poi, i desideri e le
aspirazioni in quella solitudine che mi faceva sentire fratello minore delle
stelle, con la notte che chiamava per raccontare la vita assai più del giorno.
Mi spingo a rivedere il giardino botanico retrostante
l’edificio. Qui ci si allontanava da regole e da norme e si entrava in simbiosi
con il silenzioso destino della natura, che obbediva ai ritmi delle stagioni
per far vivere a noi studenti le forme d’amore inscritte nei suoi disegni.
Colgo ancora la bellezza della lunga fila di alberi di pino sulla scarpata. Ombra, freschezza ed ospitalità data ai nostri sogni e alle nostre
illusioni. Con la striscia d’azzurro oltre il bianco dei panni distesi della
casa di fronte, che faceva da cornice a quell’angolo di paese. Poco distante,
verso l’uscita, ancora semplice nella sua veste, la piccola vasca d’acqua, il
mare nostrum, recipiente della vita, dove tutto perdeva peso, valore e
significato, e dove la solitudine galleggiava dolcemente. L’ultima attenzione
cade sui vecchi attrezzi agricoli sistemati nelle aiuole, e una strana gioia
interiore mi prende. Non capisco se per i disegni che ancora conservo, eseguiti
con inchiostro di china, o per il fascino di un mondo antico, ricco di storia e
di emozioni, in una scuola ricca di noi.
Mi avvio a percorrere
le strade del paese, dove l’ombra di un passato vissuto con tanti compagni di
scuola è ancora in ogni angolo. Le persone del posto continuano a riconoscermi
e a vedermi come uno di loro, continuano a salutare col sorriso sulle labbra,
a farmi sentire figlio in una terra ancora ricca di nobili sentimenti. Mi fanno
capire ulteriormente che il passato coabita col presente e che la vita continua
ad esistere con egual meraviglia.
Sfioro il torrione medievale della cinta muraria ed incrocio
quasi subito la stradina su cui un giorno la sorte mi fece incontrare l'angelo
che fecondò il pensiero più scintillante, più denso e più vivo della mia vita.
Vado avanti per istinto e, come per incanto, dopo pochi metri, mi appare la
torre di città, ordinata e delicata, sentinella del Comune e faro di raccolta
degli alpini innamorati dei monti lontani. Sono sotto la sua ombra e di fronte
vedo la piazza. È
ancora lì, diletta e schietta, a raccontare la giovinezza, gli
incontri festosi della domenica, le risate a crepapelle, le sigarette sempre
accese, il jukebox del bar a tutto volume, lo «struscio» delle ragazze con il vestito nuovo, i coni di
gelato da venti lire, le nocelle e le castagne del monaco con i bicchieri di
birra sempre pieni di vita. Una vita riflessa perché ricca di amicizia vera,
fondata sul rispetto, su un volersi bene all’insaputa, con atti spontanei e
naturali.
Sulla scia luminosa di questi ricordi, mi dirigo verso il
balcone del paese accanto alla chiesa. Seduto sul muretto con i piedi
penzoloni, rivedo incantato la bella cartolina illustrata di un paesaggio
familiare, dove un tempo depositavo i miei gioielli immateriali, mentre la
musica di una radio che proveniva dal borgo medievale mi faceva sognare
l’America con la voce di Elvis Presley. Tutto ciò riscalda e riempie il
presente.
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