lunedì 31 marzo 2014

I santi pugliesi sbarcano in America

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Anche i santi di Puglia viaggiano. E sbarcano in America.

Westchester italian cultural center di New York
© Enzo Bordo

Sabato, al Westchester italian cultural center di New York, guidato da Patrizia Calce, sarà inaugurata una mostra fotografica dal titolo Saints of Apulia. Il taglio del nastro è stato affidato ad un documentario, che permetterà ai visitatori di vagare tra le immagini, i colori e le musiche delle celebrazioni sacre.

An evocative journey into apulian religious feasts.

Gli scatti - centoventi in tutto - immortalano i festeggiamenti religiosi e folkloristici di dieci città: Acquaviva delle Fonti (Maria SS. di Costantinopoli), Adelfia (San Trifone), Altamura (Maria SS. del Buoncammino), Bari (San Nicola), Bitonto (Santi Medici), Fasano (Maria SS. del Pozzo), Novoli (Sant’Antonio abate, con l’accensione della focara), San Marzano (San Giuseppe), Scorrano (Santa Domenica), Taranto (San Cataldo).

Westchester italian cultural center di New York
 © Enzo Bordo
Un progetto «itinerante» che ha l'obiettivo di rafforzare l'identità dei paesi coinvolti, rievocandone radici e tradizioni. Le immagini, frutto dell'attenzione e della sensibilità di alcuni fotografi locali, mescolano sacro e profano.

La mostra, curata dall'altamurana Maria Cristina Marvulli, fondatrice e presidente dell’associazione Apulian Roots, è realizzata in collaborazione con la United pugliesi federation di New York, presieduta da John Mustaro. Viene proposta sulla scia del successo di un'esposizione dedicata ai riti della Settimana santa in Puglia, allestita lo scorso anno da Marvulli nella Grande Mela insieme al giovane altamurano Enzo Bordo. L'evento registrò in pochi giorni un boom di presenze e di apprezzamenti.

Le fotografie resteranno a disposizione della curiosità del pubblico fino al 7 giugno.

Colonna sonora: Taylor Davis, Wide awake

 















giovedì 27 marzo 2014

Viaggi, sogni e altre bellezze

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it


La penna si aggroviglia nell’aria tiepida della primavera. Sembra un’imbarcazione che vaga senza sosta in cerca di pensieri da dipingere. Ha voglia di viaggiare. Lo sguardo la insegue con aria rassegnata e divertita, incurante di porti e porticcioli. Nel frattempo, il valzer dell’inchiostro traccia note sulla tavola bianca dell’alta marea, alla fioca luce di una lampadina. Chiaro di luna.


Improvvisamente ritrovo i riflessi del mio volto nello specchio di uno spicchio d’acqua, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore. A farmi compagnia c’è Arona, cittadina «appoggiata sul lago per caso». Scorci poetici disegnano il profumo dolce e intenso dei fiori, stesi all’ombra del «tunnel di legno intrecciato con glicini secchi». 


Ancora profumo, ma fresco di stampa. Un familiare suono di carta traccia sentieri  verso la vetta dell’Alpe Veglia, in Val d’Ossola. E qui, «in località San Domenico, un paesino amato dagli sciatori, ti fermi a mangiare polenta e cervo, coccolato dall’aria frizzante di mezzogiorno». Un Genepy verde basta per riprendere il cammino, al ritmo lento del campanaccio delle mucche.


Fiume Toce (Piemonte)
Lo scrosciare dell’acqua riporta alla realtà. Sono sospesa sul fiume Toce, nel punto in cui compie un volo di 143 metri. È «il bordo verso il nulla, il confine che divide la tranquillità dalla caduta». Chiudo gli occhi e salgo sul baleno. Destinazione, Certosa di Pavia, dove i monaci vivono ancora in silenzio e in solitudine, dedicandosi al lavoro. «Il frate che ci guida, si ferma su un piccolo rialzo. Ci spiega come il tetto del chiostro, un tempo, fosse ricoperto di metallo e che, in epoca napoleonica, venne rimosso dall’esercito per farne munizioni». Ogni passo dà vita ad una fame insaziabile. È fame di scoperta.


Il biglietto mi conduce nell’Irlanda del Nord. Respiro a pieni polmoni il paesaggio della Giant's Causeway, contea di Antrim, a quasi un’ora e mezza da Derry, la città del «Sunday Bloody Sunday» cantato dagli U2. La natura mostra all’uomo la sua perfezione. «Una parete intera, una specie di molo che si protende in mare, formato da mattoni esagonali perfetti, uguali, finemente levigati».


Segovia
E mi accoccolo nell’oscurità, «che ha già fatto accomodare Segovia tra le sue braccia sicure». Il pullman impiega un’ora per coprire la distanza tra Madrid e la regione della Castiglia e di Leon, tra i sobbalzi sull’asfalto filamentoso e molle. Ancora una pagina. La prima. «…che tu possa sempre viaggiare lontano. Con l’anima». Non si può non andare lontano quando la penna di chi ha viaggiato ti prende per mano. Partire, osservare, conoscere, scrivere, andare oltre e scrivere ancora. Diventa una specie di droga di cui non si può fare a meno. Il mondo riempie a tal punto l’anima da farla traboccare sul foglio bianco.


Fabio Castano
Fabio Castano ha raccolto in un libro, «Viaggi, sogni e altre bellezze», i reportage di viaggio scritti tra il 2009 e il 2011, periodo in cui collaborava con la rivista online «Il reporter». Siamo stati compagni di strada - insieme a tanti altri - in quella meravigliosa avventura, condita con il sapore buono della penna che osserva e fotografa. Esperienze che lasciano il segno. Inevitabilmente.


Nella raccolta ci sono i luoghi che l’autore ha visitato: Varese, Santiago, Orta, Pola, Roma, Morimondo, Arcumeggia, Genova, Maastricht, Macugnaga, Pamplona, Salamanca…


C’è la vita dei luoghi. La vita nei luoghi. E c’è l’anima, quella vera, capace di farsi sfiorare e percepire dagli occhi di chi sa vedere. Sin nel profondo.


                                                                                                                                

lunedì 24 marzo 2014

Aeroporti da paura, la top ten

di Anna Maria Colonna
annamaria9683@libero.it

Sono dieci e fanno paura. Si tratta degli aeroporti più spaventosi al mondo. Il sito di viaggi airfarewatchdog.com ha pubblicato una lista per i deboli di cuore, soggetti a panico di fronte a decolli turbolenti o ad atterraggi poco morbidi.

Sea ice runway
Sea ice runway, Antartide
Questa pista di ghiaccio è sterrata e potrebbe incrinarsi. Qualche anno fa i voli venivano annullati perché si scioglieva. I piloti sono stati invitati ad evitare atterraggi troppo violenti e a cercare di non affondare per più di 25 centimetri nel ghiaccio.

Gibraltar airport, Gibilterra
La pista si trova accanto a una strada principale che conduce in Spagna.

 Aeroporto di Madeira, Portogallo
La pista corta costringe gli aerei a fare una brusca virata all'ultimo minuto per evitare le alte montagne.

Juancho E. Yrausquin
Aeroporto internazionale di Ketchikan, Alaska (USA)
Pioggia battente, vento e la corta pista che fiancheggia le montagne rendono il decollo una corsa sfrenata.
  
Qamdo Bamda, Tibet
È situato a oltre quattromila metri sul livello del mare. 

Narsarauq airport, Groenlandia
Forti turbolenze e il rischio di iceberg nelle vicinanze rendono l’atterraggio difficile.
  
Juancho E. Yrausquin, Saba island, l’unico aeroporto nell’omonima isola caraibica
Di solito, solamente i piloti esperti riescono ad atterrare in questo aeroporto a causa dei forti venti e delle montagne circostanti.

Matekane air strip
Kai Tak, Hong Kong
Chiuso nel 1998. Gli aerei erano costretti ad un volo molto basso su Hong Kong per raggiungere la pista di atterraggio e dovevano fare una brusca virata per atterrare.

Eagle county regional airport, Vail, Colorado (USA)
L’esperto pilota David Cenciotti ha definito «impegnativi» il decollo e l'atterraggio su questa pista corta, dalla ripida pendenza.

Matekane air strip, Lesotho, Africa
La pista si trova alla fine di un burrone di montagna. Gli aerei, al decollo, sembrano cadere lungo il lato di una scogliera.

Colonna sonora: Klingande, Jubel



giovedì 20 marzo 2014

«Non cercate di capire»

di Miriam Pallotta
miriam_pallotta@libero.it

Fotografie di Miriam Pallotta

Roma. «Romeo e Giulietta - Ama e cambia il mondo» è diventato un vero e proprio fenomeno, che continua a coinvolgere tutta l’Italia. Gente di ogni età accorre da diversi paesi per assistere allo spettacolo.
«Questa è la settima volta che lo vedo», afferma, soddisfatto, un signore seduto tra le prime file del Gran Teatro di Roma.



L’emozione è palpabile. Sono le 13 e mancano più di due ore all’inizio dello spettacolo, ma i fan sembrano già tutti pronti ad accogliere i loro beniamini. Un gruppo di ragazze guarda ogni singola macchina che arriva nel parcheggio, nella speranza che dietro quei finestrini si celi il volto di uno dei protagonisti. Dopo la lunga attesa, le loro preghiere vengono esaudite. Ed ecco che arrivano, con un sorriso raggiante, Silvia Querci (la nutrice), Barbara Cola (Lady Capuleti), Roberta Faccani (Lady Montecchi) e, accolti da una grande folla, Vittorio Matteucci (Conte Capuleti) con Giulia Luzi  (Giulietta).

Tutti si fermano per scattare foto e firmare autografi. Pian piano iniziano ad arrivare anche i ballerini, che vengono accolti con calore. L’orologio segna le 15 e, finalmente, le porte del Gran Teatro si aprono al pubblico. Le poltrone rosse sono lì, pronte ad ospitare grandi e piccini.



Le luci si spengono. Tra la folla, iniziano a camminare dei frati completamente incappucciati. Sul palco, un enorme libro con su scritto «Romeo e Giulietta».


Come disegnata in quello stesso momento, davanti ai nostri occhi si delinea la città di Verona. «Nel cuore di Verona, teatro della storia, la ruggine di un olio di cui non si ha memoria corrode senza pace». Due nobili casate: Montecchi da una parte, dall’altra Capuleti. Dai due fatali lombi sbocciano due fiori. Ragazzi che, alle grida, oppongono sospiri. Segnati dalle stelle, andranno fino in fondo, lasciando scritto in terra «Ama e cambia il mondo».
Lo spettacolo ha inizio. È impossibile non rimanere incantati dalla scenografia, che muta come per magia, dai meravigliosi costumi e dalle spettacolari coreografie. È una vera e propria gioia per gli occhi. Il pubblico diventa parte integrante dello spettacolo. Canta, ride e si dispera con i personaggi. Sono rimasta senza parole nel vedere tutta la platea battere le mani a ritmo e ballare la canzone «I Re del mondo». Mai vista una partecipazione così appassionata da parte del pubblico. Il musical è un continuo crescendo e si contano tante canzoni che fanno venire la pelle d’oca.

Come  non commuoversi alla morte di Mercuzio o alle note di «Avere te», cantata da Vittorio Matteucci a Giulietta? Il dolore di un padre che deve lasciare andare via la sua bambina, ormai donna. «Avere te, bambina mia, un’altra me è già poesia […] sei frutto dei vent’anni miei, maledirò gli amanti tuoi».
Il canto disperato di Lady Montecchi e di Giulietta alla notizia dell’esilio di Romeo. La tragica morte di Romeo e le ultime parole di Giulietta prima di suicidarsi: «Non cercate di capire. Non chiedeteci di più. L’amore ci ha bruciati vivi, ma restate al freddo voi quaggiù. Io muoio per lui, io muoio d’amore».
Fino ad arrivare alla pace tra le due famiglie, rappresentate, durante tutto lo spettacolo, con due colori diversi, per mettere in evidenza la contrapposizione e l’odio: rosso per i Capuleti e blu per i Montecchi. Sarà proprio la morte dei due giovani innamorati a dissolvere l’odio. Con l’ultima canzone, tutti sono vestiti di bianco, segno che la contesa è finita. Le due madri si abbracciano, unite dal dolore per la perdita dei loro figli. «Questa mattina è foriera di una pace che rattrista. Il sole, per il dolore, non mostrerà la sua faccia. Alcuni saranno perdonati. Altri puniti. Poiché non ci fu mai storia più pietosa di questa, di Giulietta e del suo Romeo».

Uno spettacolo da vedere dal vivo. Emblema dell’emozione. Viaggio indimenticabile nel tempo e nell’amore.

Curiosità
Adattamento italiano dal francese «Roméo e Juliette, de la haine à l’amour» di Gérard Presgurvic, con la regia di Giuliano Peparini. Testi italiani di Vincenzo Incenzo, produttore David Zard, che ha investito in questo progetto circa 5 milioni di euro. Il cast conta 45 artisti sul palco, oltre 30 ballerini e acrobati, 200 costumi disegnati da Frederic Oliver, una grande equipe tecnica - per gestire l’allestimento scenico, di circa 500 metri quadrati - che interagisce con i personaggi, muovendosi attorno ad essi. 




















domenica 16 marzo 2014

Casale Corte Cerro, pennellate di Strawinsky

di Luigi Casale
casaleluigi@yahoo.it

Le immagini, di Luigi Casale, risalgono agli anni Settanta.


Le mappe geografiche lo indicano anche come Santuario di Gesù agonizzante. Non sono in grado di farne la storia in quanto mi mancano elementi sufficienti, tuttavia mi piacerebbe sapere se sia sempre attivo, aperto alle stesse finalità sociali ed educative, e in grado di offrire ancora accoglienza alle famiglie. È ciò che oggi si dice turismo sociale e religioso, e che io ho inventato 38 anni fa, data la conformazione della mia famiglia. Vi ritornai, infatti, nel 1977, questa volta con la famiglia già formata. E per tre anni di seguito trascorremmo lì la vacanza estiva. Era il tempo in cui lavoravo a Roma.

A causa della nostra frequentazione di Casale Corte Cerro e per la facilità con cui gli amici ricordavano la sede delle mie vacanze in ragione della omonimia, un po’ per scherzo, un po’ per fantasia, mi compiacevo nel dire che la vacanza la trascorrevamo nei nostri «possedimenti d’origine» (se è vero, com’è vero, che dal dato topografico ci viene anche il cognome).

A questo punto, qualche lettore un po’ superficiale o forse annoiato (oppure severo?) potrà pensare che il mio esercizio di scrittura sia solo una forma di esibizione, vuota ed artificiosa. Ma per rispetto nei confronti di chi, una volta, mi confidò di trovare una certa godibilità nelle mie scritture, andrò avanti. E persisto, sperando di riuscire a comunicare - oltre alla godibilità - anche qualcosa che possa salvarsi come mera informazione. E un poco poco, se me lo consentite (questa sì che è un’ambizione, nel senso originario del termine: andare in cerca di consenso), anche di pedagogia, di formazione, di educazione.

Perché dei miei soggiorni a Casale Corte Cerro non vi parlerò se non in funzione di quella grande  opera pittorica che si vede sull’esterno dell’abside della chiesa, la parte più importante dell’intera architettura. Solo mi dispiace di dovervela presentare mostrandovi immagini da me fotografate, che avevo fatto per me, per i ricordi di famiglia. Foto che, quando le scattai, non sospettavo di dover esporre attraverso questo moderno mezzo di pubblicazione (che, all’epoca, era inimmaginabile). Foto che, nel frattempo, hanno perduto la loro luminosità. Ciononostante, sebbene incomplete nella esaustività della documentazione e poco chiare nella loro visibilità, le offro come stimolo a più approfondite curiosità verso la conoscenza, sia della storia, sia del valore estetico, sia del destino futuro della costruzione.

Premesso che l’interesse culturale è diffuso con pari intensità in tutte le parti dell’opera architettonica - nelle soluzioni abitative della struttura residenziale, nell’arredo, nella concezione della chiesa, in tanti particolari dell’arredo religioso, in tutti gli altri manufatti sistemati nel parco circostante - qui intendo illustrare solo l’affresco (forse è una tempera) che gira intorno alla grande parete cilindrica (l’esterno dell’abside). Accoglie il visitatore e il pellegrino che si recano al santuario, sul viale d’accesso alla casa: la passione del Cristo di Théodore Strawinsky (1907-1989).

Essendo esso quella che più mi colpì. E l’unico del quale custodisco le foto.





Colonna sonora: The Cranberries, Ode to my family