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Sabrina Calzia |
È
nata 43 anni fa in Liguria, a Imperia, ma da più di venti vive in Lombardia, a Cernusco sul Naviglio. Sabrina Calzia, dopo il
liceo scientifico, ha conseguito la laurea in ingegneria edile al Politecnico di
Milano, progettando poi strutture per dieci anni. Attualmente è «mamma a tempo pieno
di due monelli scatenati». Nei momenti liberi legge,
scrive, si diverte a sfornare dolci e a decorarli. Nel 2013 ha pubblicato Onde, una raccolta di venti racconti che toccano temi come l'amore, la maternità, la solitudine, la malattia, l'indifferenza, l'ingiustizia. Storie in cui il tema del viaggio occupa un posto importante.
Sabrina,
come hai scoperto la bellezza della scrittura?
Con la nascita di Giulia, la mia prima figlia. Un
po' per tutte le nuove emozioni che la
maternità porta con sé, un po' per il fatto che mi sono presa una pausa dal
lavoro... si è risvegliata in me la voglia di impugnare carta e penna,
per anni sopita, forse, dal mio percorso scolastico molto tecnico. Così ho
ricominciato a scrivere poesie, come facevo da bambina. Poi mi sono cimentata
con la narrativa, ed è nato un vero e proprio amore.
Il tuo libro si intitola Onde.
Perché?
Il titolo è nato con l’intento di evocare
l’immagine di un mare, il «mare»
della memoria. E di trasmettere l’idea, ispiratrice della raccolta, che i ricordi siano paragonabili alle onde. Perché, proprio come le onde, trasportate dalla risacca, i ricordi avanzano e
arretrano nella mente, seguendo la spinta delle emozioni.
Che
cosa lega tra loro i racconti di questa raccolta?
Tutti i racconti nascono da riflessioni su un tema a me molto caro, sia come autrice che
come lettrice: quello delle origini, dei fili che, in modo più o meno stretto, legano ognuno di noi al suo passato. Parlo delle sensazioni che il ricordo risveglia
e fa rivivere, di come queste influiscano sul
modo di porci nei confronti della vita quotidiana. Si tratta di racconti molto diversi fra loro, ma tutti
accomunati dal fatto di narrare emozioni e sentimenti, veri protagonisti di ogni storia.
Ci sono stati eventi particolari che hanno dato l'input alla scrittura dei singoli racconti?
Quasi tutti i racconti proposti in Onde sono stati
scritti, in prima battuta, per partecipare a concorsi letterari, e hanno ricevuto
qualche riconoscimento da parte delle diverse giurie. L’idea di metterli insieme e di trasformarli in un libro
da offrire al pubblico deriva dalla mia esigenza di confrontarmi con i
lettori, di raccogliere impressioni e consigli che mi aiutino a capire i punti di
forza e i difetti del mio modo di raccontare. Con questo spirito sto cercando di diffondere quanto più
possibile la mia opera, offrendo gratuitamente copie, sia cartacee che
digitali, tramite Anobii, Goodreads e il mio blog.
Da quando hai riscoperto la scrittura, la tua penna è stata sempre «fluida»?
I racconti sono
nati in modo molto spontaneo, nell’arco di quasi quattro anni. Non erano «finalizzati»
a un libro, e l’idea della raccolta è posteriore. La penna è stata fluida nei momenti di ispirazione, come dimostra il mio modo di scrivere. Il successivo lavoro di revisione e «scrematura»
finale, invece, in qualche caso ha addirittura stravolto la struttura iniziale del
racconto, rivelandosi piuttosto faticoso.
Come si sente un autore quando conclude la sua opera?
Emozionato, senza dubbio. Ma anche tormentato da incertezze, dal timore di mettersi a nudo,
dalla sensazione di non aver dato il meglio di sé. Credo che queste siano
sensazioni abbastanza comuni in chi scrive. Forse, nel mio caso, sono anche
amplificate dal fatto che l’opera sia «autoprodotta»
e che, quindi, non abbia
beneficiato dell’intervento di alcun filtro esterno. Probabilmente avrebbe potuto renderla migliore.
C'è un personaggio che ti somiglia?
Forse il
personaggio che più mi assomiglia è Erika, la voce narrante di Zafferano. La
sua storia, in fondo, è un po’ la mia, tranne per il finale! Ma questo è ovvio,
per chi l’ha letto...
Che ruolo ha il tema del viaggio nelle tue pagine?
Un ruolo importantissimo, sia come percorso fisico che simbolico. Di viaggio si parla, infatti, più o meno
esplicitamente, in diversi racconti: da IT. Ventuno grammi tra esIsTere ed
essere a La terza guerra, a Anche i giusti dormono?, Zafferano, I
Siciliani, Diario di un ritorno, Pioggia, fino al volo onirico di Soffio. Non è un caso,
poi, se ho scelto come brano di apertura della raccolta proprio Il treno per DOVE, un racconto di viaggio in cui
l’accezione fisica e quella metaforica si mescolano dal primo all’ultimo
rigo.
Leggere, scrivere, viaggiare... verbi scanditi da uno stesso orizzonte?
Leggere, scrivere, viaggiare... verbi scanditi da uno stesso orizzonte?
Leggere, scrivere... sono
entrambi modi di viaggiare, ne sono convinta. Il fine ultimo della lettura è
sempre quello di compiere un viaggio alla scoperta di mondi nuovi, da
conquistare, o alla ricerca di una parte di noi stessi. Come sarà quel viaggio che ci
accingiamo a compiere quando prendiamo in mano un libro, dipende molto dal
nostro bagaglio personale, e altrettanto dalla meta che ci siamo prefissati... Dello scrivere, invece, penso che
la parte più affascinante sia il percorso. Ovvero, non tanto dove si vuole
arrivare, e nemmeno il motivo per cui si parte. Credo che conti, piuttosto, ciò
che si riesce a trasmettere e a condividere. Che gioia dar vita a
un’emozione! Un’emozione che già esisteva in te, ma che per gli altri era
nulla... La vedi nascere, senti che lei
sta nascendo davvero soltanto in quel momento, quando la scrivi, mentre la
vesti di immagini e parole. Solo allora diventa suono, musica, energia. E svela
agli altri un modo nuovo, tutto tuo, di compiere il cammino.
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